Aldo Agostinelli

Il social audit è un tema strettamente connesso a quello della responsabilità sociale d’impresa: ecco in che cosa consiste e come si è sviluppato

Per capire di cosa parliamo quando citiamo il termine social audit dobbiamo fare un passo indietro. Una delle tematiche che sta emergendo sempre di più in ambito aziendale è quello del CSR o Corporate Social Responsability, letteralmente responsabilità sociale d’impresa. La definizione che la Commissione Europea dà della CSR è la seguente: “L’integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali e ambientali delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei rapporti con le parti interessate”. 

La sensibilità dei consumatori infatti, già attenta all’impatto che le imprese hanno sul mondo attorno a loro, si è acuita dopo la pandemia e la creazione di profitto deve sempre procedere eticamente ed essere accompagnata dalla generazione di un valore condiviso. Le scelte di business vanno orientate sempre più marcatamente su quella che ormai è una parola costantemente presente nella comunicazione d’impresa e in quella istituzionale: sostenibilità. La sostenibilità della CSR è un termine ventaglio, intesa in modo allargato,  e comprende vari ambiti, sintetizzati efficacemente dall’ acronimo inglese ESG, enviromental, social e corporate governance.

La responsabilità sociale d’impresa

Un’azienda, nel 2023, nel portare avanti i suoi intenti di business, non può prescindere dal trattare bene i propri dipendenti, dall’impattare il meno possibile sull’ambiente e dall’avere un effetto di crescita di valore per la società civile. La CSR tipicamente infatti va oltre quello che è il rispetto delle prescrizioni di legge e individua pratiche virtuose che l’azienda adotta su base volontaria.

In particolare l’attenzione è rivolta a quelle azioni che hanno ripercussioni positive sugli stakeholder, ovvero coloro che sono portatori di interesse nei confronti della società. Il termine stakeholder, in questo contesto, va letto non solo come investitori, dipendenti, fornitori e clienti, ma con un’accezione estesa alle comunità, alle associazioni di categoria, fino ai governi e alle istituzioni di ogni livello. Dunque il social audit, per tornare all’argomento principe, non è altro che una valutazione (audit) di una azienda dal punto di vista del suo impatto sulla società.

Come avviene il social audit

La valutazione solitamente viene gestita da un ente esterno, e si ripete ogni 5 anni circa. Esistono diverse realtà che offrono questo genere di servizio. Gli audit etici e sociali, una volta predisposti, possono essere poi utilizzati dall’azienda oggetto di indagine per rassicurare gli stakeholder sulla bontà della loro organizzazione, certificando che opera secondo la legge e ottemperando anche altri standard per quanto riguarda tutti gli aspetti menzionati. È possibile ottenere audit dettagliati solo su qualcuno di essi, per esempio diritti umani, pratiche di produzione responsabile o salute e sicurezza.

Perché il social audit è importante

Perché è importante, per il CEO di un’azienda, dotarsi di un social audit? Innanzitutto per premunirsi contro eventuali un’immagine negativa e comunicazioni dannose, o allusioni relative al fatto che la propria società non rispetti adeguati standard. Inoltre, ancor più importante, la stesura del social audit è un’ottima occasione per riflettere su eventuali criticità e migliorare sempre di più i processi produttivi, la gestione delle risorse umane e molti altri aspetti rilevanti all’interno di un’organizzazione. Inoltre, occorre sottolineare l’importanza del social audit nell’ottenere certificazioni ISO o adottare PDR.

Social audit: una breve storia della responsabilità sociale d’impresa

Per quanto riguarda la responsabilità sociale delle aziende, che si collega al crescente interesse nei confronti degli audit sociali ed etici, il concetto non è nuovo. Le prime scuole di pensiero sul tema nacquero tra gli anni ‘30 e i ‘50 negli Stati Uniti. I manager non potevano avere come obiettivo solo il raggiungimento del profitto, bensì dovevano rispondere anche a determinati obblighi sociali.

Nel 1953 Bowen introduce il concetto di social responsibility of businessman, in cui invita gli uomini d’affari a “perseguire quelle politiche, prendere quelle decisioni e seguire quelle linee di azione che sono desiderabili in termini di obiettivi e valori della nostra società”. Nel 1973 la titolarità dell’obbligo passa all’impresa e non solo al manager. Davis infatti scrive che “un’azienda non può essere ritenuta socialmente responsabile se si attiene solo al minimo previsto dalla normativa.”

La teoria degli stakeholder

Dieci anni più tardi R. Edward Freeman pubblica la sua teoria degli stakeholder in cui sostiene che le imprese debbano pensare alla mappa dei “portatori d’interesse” per informare tutto il loro processo produttivo. Il ragionamento di Freeman si contrappone alle dichiarazioni del Nobel Friedman, che sosteneva che i manager non avessero altri obblighi oltre a quelli di legge e alla produzione di risultati economici per gli azionisti. Di più: sosteneva che preoccuparsi di altro sarebbe stato irresponsabile da parte degli uomini d’affari.

Negli anni ‘80, sempre negli USA, si diffonde la Business Ethics che mette al centro i valori etici che devono guidare l’impresa. La visione strategica deve quindi perseguire un vantaggio non per forza economico, ma reputazionale. Alla fine degli anni ‘80 la piramide di Carroll (Georgia Universisty) individua quattro macro aree di responsabilità sociale dell’impresa:  responsabilità economica, legale, etica e ciò che lui definisce discrezionale, ossia comportamenti con un’impronta sociale positiva.

Social audit: la situazione in Europa e in Italia

E in Europa? Dal marzo 2000 le tematiche sono entrate anche nell’agenda UE e nei Consigli Europei. Sempre nel 2000 escono le Linee Guida dell’OCSE destinate alle imprese multinazionali con una serie di “principi e norme volontarie per un comportamento responsabile delle imprese”Finalmente, nel 2001, la Commissione Europea fornisce una prima definizione ufficiale di CSR nel Libro Verde.

Queste tematiche sono diventate sempre più importanti in Italia anche perché la richiesta di trasparenza viene dal basso, dai consumatori, che vogliono raggiungere una consapevolezza sempre più completa delle fasi di produzione, di distribuzione dei prodotti o servizi che utilizzano. Inoltre il consumatore vuole poter valutare l’impatto che la creazione e la distribuzione di quel prodotto genera nell’ambiente. Oggi molti consumatori non acquistano beni e servizi da aziende che non abbiano un comportamento responsabile verso i dipendenti e la collettività. Al contrario, tendono a prediligere e a scegliere aziende che se ne fanno carico.

Ecco perché oggi le aziende, soprattutto le medio-grandi, ma non solo, non possono che farsi carico della loro responsabilità sociale e non possono dunque esimersi dal sottoporsi a social audit atti a valutare la loro impronta sul mondo.

Aldo Agostinelli