La geoingegneria climatica è un insieme di azioni e tecnologie volte a ridurre gli effetti della crisi climatica, senza agire sulle cause: ecco in che cosa consiste e perché pone grossi dubbi e problemi
Contrastare il riscaldamento globale e i cambiamenti climatici è una priorità e un’urgenza a livello internazionale. Il problema è che le azioni intraprese finora si sono dimostrate troppo tiepide e il raggiungimento degli obiettivi posti dagli accordi internazionali è costantemente incerto. Si è pensato dunque ad altre possibili vie da percorrere, tra le quali rientra proprio la geoingegneria climatica.
Potremmo considerare questo approccio l’ultima spiaggia, il tentativo estremo di evitare le peggiori conseguenze della crisi climatica. Ultimo ed estremo perché dagli esiti del tutto incerti, sia per efficacia, sia per i possibili effetti collaterali. E con l’ulteriore timore che questo approccio sui sintomi, e non sulle cause della crisi climatica, possa diventare un pretesto per governi e istituzioni per allentare la già insufficienti politiche per la riduzione delle emissioni di gas serra.
A cosa serve la geoingegneria?
La geoingegneria è un tipo di geologia applicata che consiste, appunto, nell’applicazione delle scienze geologiche all’ingegneria. La geoingegneria, in termini generali, serve a:
- formulare valutazioni a carattere ambientale e climatico;
- elaborare modelli in grado di mitigare rischi naturali;
- valorizzare le risorse naturali per utilizzarle in modo ecocompatibile.
Si utilizza spesso il termine geoingegneria anche per riferirsi a grandi opere, come ad esempio il MOSE, costruito per salvaguardare la zona della laguna veneziana. Qui però ci occupiamo di un’altra applicazione di questa scienza.
Geoingegneria climatica: cos’è
La geoingegneria climatica (o ingegneria climatica) si concentra in particolare sul contrasto al cambiamento climatico e al riscaldamento globale. Questo obiettivo si concretizza in una serie di misure tecnologiche su vasta scala volte a ad alterare forzatamente il sistema climatico. Per questo si parla di geoingegneria e manipolazione climatica. I rischi di questo approccio sono quasi totalmente sconosciuti e non è detto che l’esito sia risolutivo, in quanto non esistono sufficienti studi in materia. Si tratterebbe, in sostanza, di un intervento di emergenza e provvisorio, un modo empirico di prendere tempo in attesa di soluzioni condivise e radicali (ovvero ridurre drasticamente le emissioni di gas serra e bandire i combustibili fossili).
Come funziona la geoingegneria climatica?
Attualmente la geingegneria climatica segue due direzioni principali:
- la rimozione dell’anidride carbonica dall’atmosfera (CDR – Carbon Dioxide Removal);
- la riduzione della radiazione solare (SRM – Solar Radiation Management) per raffreddare la Terra.
La prima tipologia di interventi prevede la “cattura” dell’anidride carbonica dall’atmosfera terrestre tramite particolari impianti industriali (costosissimi e in fase sperimentale) e il suo seppellimento in speciali depositi nel sottosuolo. Non è chiaro esista un rischio di fuga da questi depositi e se il sotterramento possa contaminare l’ambiente del sottosuolo. Un metodo naturale per ridurre la CO2 nell’atmosfera sarebbe quello di ripristinare torbiere, foreste e altri ecosistemi in grado di assorbirla. Sappiamo però che questa strada incontra purtroppo moltissimi ostacoli.
La seconda direzione è quella riduzione della luce solare da ottenere schermando o riflettendo la radiazione solare stessa. Come? Ci sono diverse idee e ipotesi in campo (molte delle quali piuttosto singolari):
- colorar di bianco tetti degli edifici e strade;
- utilizzare enormi flotte di navi per spruzzare l’acqua nebulizzata dell’oceano nel cielo, in modo da intensificare la copertura nuvolosa (così vivremmo sempre in ombra);
- riempire la stratosfera di anidride solforosa, il cui pulviscolo potrebbe schermare la luce del sole (ma il cielo non sarebbe più blu);
- schermare il sole lanciando nello spazio miliardi di specchi riflettenti grandi quanto un frisbee (idea dell’astronomo statunitense Roger Angel).
Limiti e rischi
Com’è facile immaginare, queste ipotesi sono e restano ipotesi non verificate e dagli effetti non prevedibili. Il limite principale della geoingegneria climatica risiede tuttavia nella sua azione sui sintomi, anziché sulle cause della crisi climatica: è inutile reprimere gli effetti – come l’accumulo della CO2 nell’atmosfera e il surriscaldamento globale – se non si adottano politiche in grado di invertire la rotta. Anche se queste azioni empiriche dovessero temporaneamente funzionare, senza un’inversione di tendenza questi fenomeni continueranno a riproporsi e ad aumentare: poco potranno, allora, azioni di tamponamento e di riduzione del danno.
Sul fronte dei rischi le incognite sono innumerevoli. Ad esempio, l’utilizzo dell’anidride solforosa, che è una delle ipotesi più facilmente percorribili, rischierebbe di assottigliare lo strato di ozono che filtra le radiazioni ultraviolette, ma potrebbe anche provocare piogge acide o trasformare le condizioni climatiche regionali, stravolgendo le stagioni e mettendo a rischio intere popolazioni. Cosicché i danni di questa soluzione sarebbero ben peggiori della riduzione del problema originario. C’è poi da considerare il fatto che se diventassimo dipendenti da queste soluzioni “artificiali”, nel caso in cui non ci fossero le condizioni per portarle avanti con continuità subiremmo una retromarcia immediata e un balzo termico dannosissimo per il Pianeta.
La comunità scientifica ne discute da vent’anni, ma ad oggi, in assenza di tecnologie sicure, possiamo affermare che i limiti e i rischi della geoingegneria climatica superano i vantaggi. Alcuni scienziati propongono di vietarla: un singolo Stato sarebbe economicamente in grado di praticarla, e allora cosa potrebbe accadere, anche sul piano socio-economico? Altri sono invece favorevoli a portare avanti la ricerca. Al limite, alcune soluzioni si potrebbero applicare moderatamente e in via sperimentale e concertata in concomitanza con politiche ambientali decisive (come già detto, riduzione netta delle emissioni di CO2 e abolizione dei combustibili fossili). Non in sostituzione di esse.