Un interessante post di Gianluca Diegoli ci induce a una riflessione sulla trasformazione del concetto di marchio. I brand tradizionali sono al tramonto?
Quanto conta il brand oggi? In un suo recente post, Gianluca Diegoli sostiene che “L’iper-frammentazione dei media, l’autodifesa dalla sopraffazione informativa da parte del compratore, la comunicazione peer-to-peer che contraddistingue le nostre scelte di acquisto contemporanee sono le principali concause del tramonto del concetto di brand tradizionale fondato sulla pubblicità one-fits-all”.
Vale a dire che il brand di per sé si sta avviando sul viale dell’evanescenza. Insomma il marchio, quello che un tempo costituiva l’identità del prodotto, sta progressivamente perdendo d’importanza.
Le Big Tech diventano megabrand
Un’opinione che, se letta alla luce dell’ultimo studio prodotto sull’e-commerce da Casaleggio e Associati, difficilmente risulta confutabile. Nel rapporto (di cui parlo ampiamente nel post “e-Commerce: guerra tra global player, ora puntano a nuovi mercati”), si evidenzia come Amazon, eBay o Alibaba, si stiano sempre più ponendo come gli intermediari tra chi vende e chi compra.
E secondo Diegoli sono proprio loro, i player global, i colossi dell’e-commerce divenuti essi stessi marchi anzi megabrand che, come grandi contenitori multimarca, stanno soppiantando il brand tradizionale come l’abbiamo inteso sino ad oggi, corredato dei suoi slogan e delle sue pubblicità, in grado di resistere decenni nella memoria dei consumatori ma di affondare di fronte all’atomizzazione e moltiplicazione delle offerte dei micro merchant on line.
Scrive Diegoli: “L’iper-connessione porta a far ridiventare brand due nuovi e diversi tipi di business: chi riesce a portarti 24 ore al giorno l’indicazione di acquisto giusta al momento giusto e chi riesce a essere portato, come il prodotto giusto al momento giusto, dal primo. Saranno Amazon, Google, Facebook, Apple e pochissimi altri “connettori” i veri unici megabrand del futuro, intesi nella vecchia accezione”.
L’importanza della presenza del brand
Difficile dargli torto: nell’èra post televisiva, il momento in cui la tv ha ormai perso lo scettro di medium unico della comunicazione di prodotto, internet riempie gli spazi del nostro tempo e, anche on the go con lo smartphone in mano, i global player sono i referenti a cui le persone sempre più si rivolgono per acquistare o informarsi sugli acquisti futuri. Poco importa a questo punto il marchio: se poco noto o del tutto sconosciuto è sempre in rete che si troverà chi ne parla, l’ha commentato o anche recensito.
Ma se il marchio storico perde d’importanza, è utile comunque per il marchio esserci. L’accento non è più sul “chi” vende ma sul “cosa” vende. Amazon, Google o anche Facebook non sono marchi reali che vendono prodotti propri (eccezion fatta per Amazon che in parte lo è già diventato!) ma sono dei marketplace all’interno dei quali, seppur non riconosciuti, lo stesso si può vendere.
Il valore della community intorno al brand
Se i global player di riferimento non saranno gli stessi nei vari continenti (Alibaba o Tmall in oriente e Amazon o Google in Occidente), un comune denominatore per tutti è però la community attraverso – e a cui – comunicare, sostenere e propagandare il prodotto. Diventa così fondamentale il ruolo dei micro-influencer. Come spiego in “Digital marketing: i brand guardano ai micro influencer” questi ultimi sono persone con un pubblico di aficionados – dai contatti Facebook ai follower su Twitter e Instagram – ristretto a poche migliaia, ma che hanno dallo loro un rapporto più vicino e forte con quanti li leggono. Insomma l’audience è minore ma l’appeal esercitato è assai maggiore. Ottimi dunque per la creazione e il mantenimento di una community forte e vitale che a questo punto diventa praticamente indispensabile soprattutto per i piccoli vendor.
Cosa pensate dei global player? Scrivetemi i vostri commenti @agostinellialdo.
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