Aldo Agostinelli

Le news on line avanzano, anzi, dilagano, ma i giornali si reggono ancora in gran parte sulla stampa. Una regola che poteva avere una logica forse venti, venticinque anni fa, quando non esistevano gli smartphone e la proporzione tra chi aveva l’accesso internet a casa e in ufficio e quanti non ne disponevano era invertito e i primi si potevano non dico  contare uno per uno ma quasi. Oggi, però, che gli introiti degli editori derivino ancora dalla carta ha dell’assurdo. Il motivo è semplice: i lettori abituati per lungo tempo ad avere tutto gratis, non amano pagare. Almeno fino a ieri, perché come mostra News brands and reader subscriptions, un recente studio pubblicato da Enders Analysis, le cose stanno cambiando. E ai giornali serve soprattutto trovare la formula giusta per incentivare gli abbonamenti digitali.

Un dato di fatto, per esempio, è che le fake news invece di allontanare i lettori dall’informarsi tout court, li stiano spingendo verso la ricerca di notizie filtrate dalla lente di fonti autorevoli riconosciute. In poche parole la sfiducia verso le notizie da clickbait coincide con una nuova ondata di fiducia nei confronti del giornalismo professionale. Ciò significa che se il paywall diventasse diffuso e fosse adottato da tutti gli editori, si abbatterebbe la quota di quel 54% di lettori che non vogliono pagare perché in grado di reperire comunque gratuitamente nel web le notizie che vogliono leggere e di quel 29% che si rivolge a giornali che forniscono contenuti senza chiedere denaro. Si tratta di alcuni dei dati contenuti nel Reuters Institute Digital News Report 2017, da cui emerge anche che i giovani sono molto più disposti degli adulti e degli anziani a sottoscrivere abbonamenti.

Insomma la rotta gratuito vs a pagamento si sta invertendo, e sarebbe quindi il caso che i giornali si attrezzassero al meglio per formulare offerte anche in base alle informazioni in loro possesso sul panorama demografico dei loro lettori. Si trattasse anche solo di recuperare nicchie di mercato del valore del 4% dei lettori, equivarrebbe ad una gran quantità di denaro in entrata nelle casse. Il punto è che il web non ancora è riuscito a produrre un sistema universale di pagamenti one-click, tipo micropagamenti e microsottoscrizioni, da applicare anche ai media (Micropayments and Microsubscriptions: Beyond advertising)

Chi si sta muovendo massicciamente per smuovere la situazione sono due colossi del digitale, Facebook e Google. Certo non senza un loro tornaconto. Ma tant’è con il suo First Click Free, che permette agli utenti di iscriversi ai siti di notizie con i loro dati di accesso e pagamento di Google, Big G sta dando una mano agli editori. Ancor di più Facebook che, col suo ‘Call To Action unit’, consente di registrarsi facilmente agli Instant Articles e, a differenza di Google, lascia agli editori la gestione dei pagamenti e la relazione col cliente-lettore. Il tutto dovrebbe consentire la transizione al consumo di notizie su abbonamento e alla sostenibilità dei media basata non più sulla carta stampata ma su questi e il digital advertising.

Siamo dunque in una fase di trasformazione. E gli editori non dovrebbero mancare l’appuntamento, pena la loro stessa sopravvivenza, apportando idee innovative al sistema, tarate e basate sulla conoscenza del proprio pubblico.

 

Siete disposti a pagare per leggere news verificate da fonti professionali? Se non lo siete spiegatemene i motivi tweettando i vostri commenti a @agostinellialdo.

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Aldo Agostinelli