Aldo Agostinelli

La crisi delle start-up americane avvantaggia gli unicorni cinesi. Il caso WeWork e cosa sta accadendo

Le start-up americane iniziano a brillare meno. E il loro futuro non sembra più quello roseo degli unicorni con l’arcobaleno sulla criniera, che scorrazzano gaudiosi tra valli color verde dollaro, macinando denaro a più non posso. Loro, le start-up nate in fretta sulla base di un’idea digitale e cresciute rapidamente grazie alle sostanziose iniezioni di denaro degli investitori, si stanno sgonfiando e il loro trotto da animali rari e preziosi sta rallentando.

Emblematico in tal senso è il caso – seppur non l’unico – di WeWork. Vale la pena di raccontarlo.

La bolla scoppia!

WeWork è una società che si definisce tecnologica ma, in realtà, il suo core business è quello di gestire circa 4 milioni di metri quadri di spazi fisici per il co-working in 29 Paesi del mondo. Suo CEO e co-fondatore è Adam Neumann, quarantenne di bell’aspetto molto lontano dal modello nerd protagonista della serie tv “Silicon Valley”. A seguito della valutazione della company in 47 miliardi di dollari, Neumann decide di quotarla in borsa. Ma – surprise! – a ridosso della quotazione effettiva, saltano fuori un bel po’ di magagne. Prima tra tutte i debiti. Molti. Sostanziosi. Si parla di 1,4 miliardi di dollari solo nel 2018. La gestione di Neumann non è stata, per così dire, delle migliori. Si punta il dito su spese dissennate, conflitti di interesse (pare che acquistasse alloggi e poi li affittasse alla società, ricevendo incentivi sia come proprietario che come inquilino), party, vita mondana e persino uso di droga sul lavoro. Di certo c’è che l’espansione è stata eccessiva, non ponderata ed ora i nodi son venuti al pettine scoperchiando il vaso di Pandora (How Adam Neumann’s Over-the-Top Style Built WeWork).

SoftBank nella burrasca

Gli spazi condivisi non vengono occupati per quasi l’80%, le perdite sono ingenti. Per dare un’idea: negli ultimi tre mesi, a fronte di un fatturato di 934 milioni, il segno negativo è stato di 1,25 miliardi.
Il colosso degli investimenti nel tech, la banca giapponese SoftBank, già investitrice di Uber e principale investitore anche di WeWork, si trova così ad essere una nave in burrasca. Inizia a iniettare risorse finanziare per tentare il salvataggio ma il picco nero prosegue.

Dai 47 miliardi iniziali, lo scorso settembre per JP Morgan e Goldman Sachs la valutazione dell’ex unicorno è scesa a 20. Soft Bank la calcola solo in 8 miliardi. Un bel salto.

I tagli al personale

Intanto WeWork ha annunciato tagli per il 19% della sua forza lavoro, circa 2.400 dipendenti (WeWork licenzierà più di duemila dipendenti). Neumann, invece, ha lasciato la poltrona di Ceo. Manterrà una carica onorifica con meno potere e meno controllo sul board e sull’intero gruppo. SoftBank ha fatto in modo di ridurre i suoi diritti di voto da venti a tre per titolo. Asciughiamo le lacrime però: al nostro restano comunque 1,7 miliardi di dollari. Una sorte decisamente migliore di quella dei lavoratori in attesa di licenziamento (Adam Neumann gives up most of his voting power and steps down as WeWork’s CEO).

La crisi della sopravvalutazione

Ma la crisi di WeWork non è un caso isolato. E, secondo molti, è il sintomo di una crisi molto più estesa e profonda che investe il sistema delle start-up statunitensi, mettendo in discussione la loro crescita miracolosa e la qualità della loro gestione, spesso assai poco controllata e verificata dagli stessi investitori. È il caso di SoftBank, che ha dato carta bianca e Neumann e ora su quella carta si ritrova il conto dei debiti (solo negli ultimi mesi 4,6 miliardi di dollari). Ad oggi l’investitore nipponico non è più il primo al mondo. Ha lasciato il podio alla statunitense Sequoia Capital, seguita dalla cinese Tencent, scivolando al terzo posto.

Intanto sul fronte degli unicorni americani le quotazioni della piattaforma di instant messaging aziendale Slack sono crollate del 47%; il valore di borsa di Uber è calato del 40%; Lyft del 41%; le azioni Pinterest del 44%; le azioni del sito di ecommerce per animali domestici Chewy sono passate dal +70% della quotazione iniziale al +6%.

Risultato? Gli asset management fanno man bassa come gli utenti durante il Black Friday.

Il sorpasso cinese

Ma se gli Usa piangono, la Cina ride. Attualmente gli  unicorni cinesi – Ant Financial di Alibaba, ByteDance proprietaria di TikTok, il car sharing Didi Chuxing – rappresentano un mercato valutato in 1.700 miliardi di dollari e si pongono alla testa delle start-up globali.

Ad oggi gli States dispongono di 203 start-up, mentre la Cina ne ha 206 che valgono più di un miliardo ciascuno (WeWork e non solo. La caduta degli unicorni).

Il sorpasso è compiuto e forse è arrivato il momento di tirare fuori gli unicorni tech dalla loro bolla mitologica e iniziare a guardarli come realtà di valore, non da sopravvalutare (soprattutto finanziariamente!) ma da sviluppare e far crescere con visione e grano salis.

Cosa pensate della crisi di WeWork e del sistema degli uniconi tech in generale? Mandatemi i vostri commenti tweettando a @agostinellialdo.

Per scoprire di più sul mondo digitale, leggete il mio nuovo libro: “People Are Media” 

Se ti è piaciuto questo post, leggi anche “I 7 trend della Digital Transformation da seguire nel 2020

Aldo Agostinelli