Aldo Agostinelli

Secondo l’ultimo rapporto “E-Commerce 2017”, stilato da Casaleggio Associati, continua inarrestata la crescita mondiale dell’e-commerce. Per il 2016 si parla di 200 miliardi di dollari in più raccolti rispetto al 2015, per un valore di 1.915 miliardi di dollari. A dominare la classifica sono due Paesi: al primo posto la Cina con un fatturato di circa 899 miliardi di dollari, corrispondenti al 46% dell’e-commerce elettronico globale; al secondo posto gli Stati Uniti, con un fatturato stimato in 423,34 miliardi di dollari lo scorso anno e un +15,6%. Read it in English.

In Europa la crescita è stata del 13%, per un valore stimato di 509 miliardi di euro e circa 296 milioni di persone che acquistano on line i prodotti del Vecchio Continente. Ma sebbene il 57% degli utenti internet europei faccia e-shopping, ancora solo il 16% delle PMI vende online, e solo il 7,5% online oltre confine.

Anche l’e-commerce italiano marcia: nel 2016 ha registrato un +10% sul 2015, fruttando un fatturato totale di 31,7 miliardi di euro. Dal report emerge che il commercio elettronico nel nostro Paese è entrato in una fase di maturità e che sia di tipo capital intensive. Ciò significa che “chi i capitali li ha o li trova cresce, chi non riesce a trovarli perisce o, nella migliore delle ipotesi, viene comprato”.

La differenza tra le nostre aziende che operano nel web e quelle straniere, però, evidenzia una carenza nel finanziamento alle imprese. Mentre in Germania, Francia, Gran Bretagna e Spagna, i finanziamenti elargiti sono dell’ordine di centinaia di milioni di euro, in Italia si aggirano al massimo intorno ai 5 milioni di euro. Un dato che, se non adeguatamente corretto, potrebbe nel medio termine penalizzarlo.

Quanto ai principali player globali, la loro posizione appare sempre più incontrastata, sia a livello locale che internazionale. Nei singoli Paesi attori come Amazon stanno proseguendo sulla strada dell’erosione delle quote di mercato anche dei punti vendita fisici, mentre sulla scena mondiale, si stanno ponendo sempre più come gli intermediari a cui i merchant che aspirano a vendere all’estero i propri prodotti devono rivolgersi. Sono insomma i marketplace come Amazon, eBay, Alibaba o Tmall i referenti da cui gli utenti che desiderano acquistare prodotti stranieri comprano ed è a loro che i venditori devono necessariamente rivolgersi per proporsi.

Nel prossimo futuro, poi, l’Asia-Pacifico diverrà il terreno del (duro) scontro tra i due giganti dell’e-shopping, Alibaba e Amazon. Le prove del resto non mancano: oltre ai  miliardi di dollari che i due competitor stanno investendo nel sud-est asiatico, Alibaba ha già assorbito Lazada aprendosi le porte di Singapore e non solo (Lazada Brings Alibaba’s Biggest Bazaar to Singaporean Shoppers), mentre Amazon ha puntato 5 miliardi di dollari in India e si prepara alla conquista dell’Australia dove, a breve, ha intenzione di aprire centri di distribuzione a Sydney e Melbourne. Con grande preoccupazione dei retailer australiani.

La battaglia non si svolge solo nel web ma anche a cavallo tra il mondo digitale e quello reale. All’aumento della forza dei player globali, appare sempre più evidente corrispondere la debolezza dei rivenditori tradizionali: entro la fine dell’anno lo studio stima che solo negli Stati Uniti ben 8.640 negozi fisici potrebbero abbassare le saracinesche. Come già detto altre volte, per il commercio tradizionale è il momento di elaborare nuove strategie!

Cosa pensate dello scontro tra commercio tradizionale ed elettronico? Fatemi avere i vostri commenti a @agostinellialdo.

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Aldo Agostinelli