Aldo Agostinelli

Sempre più visualizzazioni ma entrate pubblicitarie non ancora all’altezza: secondo la stima di eMarketer, i 7,8 miliardi di dollari di entrate nette globali del 2017 di YouTube costituirebbero solo l’8% delle entrate pubblicitarie di Google.

Colpa delle incertezze degli inserzionisti che temono che i loro brand finiscano abbinati a video inappropriati, volgari o violenti ma, soprattutto, “colpa” della cosiddetta “long tail”. Coniata da Chris Anderson, con questa definizione s’intende un modello nato dall’economia digitale, secondo cui i ricavi si ottengono vendendo poco di molto o molto di poco. Per dirla con le parole di Anderson, <<l’era del one-size-fits-all è finita e al suo posto c’è il mercato delle moltitudini>>. In pratica il mass mercato è diventato una massa di nicchie, dove chiunque trova ciò che cerca all’interno di una vastissima gamma.

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È il caso di YouTube che, in qualità di piattaforma più evoluta in quanto a contenuti generati dagli utenti, ospita milioni di milioni di video da uno a miliardi di visualizzazioni.

Ma l’eccellenza ingegneristica che ha portato YouTube ad essere il prodotto di Google quanto più simile a un social media planetario, in grado di riempire con i suoi utenti registrati la grande lacuna nell’apparato di data mining di Big G, ora sta mostrando i suoi limiti dal punto di vista economico. Le entrate di YouTube rappresentano un margine basso rispetto agli standard di Google, con un pagamento medio del 55% delle entrate pubblicitarie ai creatori di contenuti, senza contare i costi di hosting e distribuzione di video.

Secondo quanto riportato nel report stilato da Enders Analysis “YouTube: thinking beyond the long tail”, è quindi tempo di pensare ad andare oltre la “lunga coda”. Per esempio diventando più flessibile nei suoi rapporti con l’industria dell’advertising e pianificando una strategia go-to-market più aggressiva, in grado di rispondere alla concorrenza degli OTT, i contenuti pubblicitari over-the-top che appaiono per un tot di tempo sopra la pagina web che l’utente vuole visualizzare.

 

Lo sforzo vale la posta. Basti pensare che YouTube vanta 1,5 miliardi di spettatori unici, 1 miliardo di ore di visualizzazioni giornaliere e 100 milioni di ore di visualizzazioni al giorno su schermi Tv collegati. Nel Regno Unito, dove YouTube realmente spopola anche più di Facebook, la quota di visualizzazione sul televisore è ancora più elevata: è il 15% del totale. In UK oltre 50 milioni di persone visualizzano in media circa 5 minuti di YouTube al giorno e 10 milioni di utenti 2 ore.

È quindi la televisione una delle possibili risposte alla questione. E ai pessimisti che fanno notare come la presenza di contenuti Tv tradizionali sia scoraggiata dai bassi tassi della pubblicità e dalla frammentazione in nicchie dell’audience, YouTube ha controbattuto annunciando grandi novità. Per gli inserzionisti sono ora disponibili nuovi pacchetti e strumenti per raggiungere in modo specifico gli utenti di YouTube che guardano via televisore. Inoltre agli strumenti di gestione delle campagne pubblicitarie verranno integrate funzionalità specifiche per la TV, che includono DoubleClick Bid Manager e Google AdWords. Ulteriore cambiamento è l’aggiunta dei canali selezionati dalla YouTube TV in abbonamento, il servizio televisivo in diretta via cavo della piattaforma, a Google Preferred, un pacchetto di canali ad alto rendimento offerti ai marchi per la pubblicità (YouTube Is Moving Toward Traditional Television Audiences With Its Newest Announcement).

In tal modo gli inserzionisti avranno sia i contenuti YouTube più popolari che i contenuti TV tradizionali in una singola campagna, con la possibilità di mostrare determinati annunci a certi target di pubblico o di mostrare a tutti lo stesso annuncio da visualizzare sulla TV tradizionale.

Basterà per dare il colpo di coda? Probabilmente è un ottimo inizio.

Cosa ne pensate della tv su YouTube? Tweettate i vostri commenti a @agostinellialdo.

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Aldo Agostinelli