Siamo costantemente bombardati da input sensoriali esterni che ci portano a interpretare soggettivamente cosa ci circonda: ecco i bias cognitivi.
Capita a tutti di incorrere in più o meno importanti errori di valutazione, la realtà esterna va interpretata e questo porta ogni individuo ad avere una sua visione e a provare a creare una realtà alternativa. Ma creare una visione alternativa porta inevitabilmente a compiere degli errori cognitivi.
I bias cognitivi sono interpretazioni soggettive della realtà, spesso non esatte degli eventi e sono molto importanti nel processo decisionale del marketing.
Cosa sono i bias cognitivi
Per gestire bene il flusso di informazioni che riceviamo costantemente ogni giorno, in ogni momento, la mente ha bisogno di creare delle scorciatoie, cosiddette euristiche, che l’aiutano a interpretare la realtà più velocemente e in modo efficace. Queste scorciatoie mentali però possono portate a conclusioni errate e distorte: i bias cognitivi.
I bias cognitivi sono quelle interpretazione che portano a ricreare una realtà in modo che combaci con le proprie aspettative e/o convinzioni. Questa distorsione cognitiva comporta un’alterazione del giudizio e porta a processi decisionali in linea con il proprio pensiero irregolare.
È l’esperienza la principale “colpevole” della nascita dei bias cognitivi. Più ci si ricorda di esperienze che ci hanno segnato, più è facile che la scala dei valori cambi. I pregiudizi, gli schemi mentali difficili da rimuovere, oppure l’aver paura del l’altrui giudizio portano alla creazioni dei bias cognitivi.
Anche il contesto culturale in cui si cresce e si vive influenza inevitabilmente il modo di pensare e a dare un’interpretazione personale della realtà.
Il cervello è in grado di elaborare tantissimi stimoli e se certi schemi mentali sono rodati e aiutano a ragionare più in fretta, non è detto però che portino a decisioni “giuste”.
I bias cognitivi nel Marketing
Il mondo del marketing ha presto imparato a sfruttare a proprio vantaggio i bias cognitivi nei processi decisionali, di negoziazione e di vendita.
Il neuromarketing è lo studio di questi meccanismi psicologici in relazione allo sviluppo delle strategie di mercato. Il marketer, infatti, cerca di capire e anticipare quali possano essere i pensieri che i futuri clienti faranno prima dell’acquisto.
Come reagisce un potenziale cliente a quella pubblicità? Come valuta un prodotto in rapporto alla propria esperienza personale? Quale è il colore che può attirarlo di più?
Saper rispondere a queste domande è fondamentale per avviare quei meccanismi a cui il marketing assegna importanza strategica.
Normalmente le persone prendono decisioni al volo, d’istinto, e solo dopo le razionalizzano. Di conseguenza per il marketer è importante “fare colpo” e modellare il pensiero nel modo corretto in modo da semplificare l’effettivo acquisto.
Il processo decisionale e i bias cognitivi
Nell’acquisto di un prodotto ci sono sempre due parti in causa:
- chi vende/offre il prodotto/servizio
- coloro ai quali l’offerta è rivolta
Entrambe le parti sono interessate a capire i bias cognitivi. Per chi vende scoprirlo è utile perché aiuta a innescare una serie di meccanismi capaci di influenzare le scelte e gli acquisti dei potenziali clienti.
Il momento in cui il potenziale cliente può diventare cliente è il più vulnerabile. Uni stratagemma marketing diffuso potrebbe essere quello di invitare il consumatore all’acquisto perché sono rimasti pochi pezzi disponibili.
Per chi è intenzionato a comprare, diventa importante saperli riconoscere per essere più consapevoli durante il processo decisionale d’acquisto e, di conseguenza, non fare cogliere di sorpresa.
Ma non basta conoscere i bias cognitivi per non cascarci mai più, perché queste scorciatoie colgono alla sprovvista senza neanche accorgersene ma è anche possibile riconoscerle e non saperle contrastarle. Di sicuro conoscere i bias cognitivi serve per provare ad evitarli e, magari riuscire a utilizzarli a proprio vantaggio.
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Quali sono i bias cognitivi?
Ecco di seguito i bias cogniti del marketing
Bias di conferma
Un tema molto attuale e molto utile quando si spiega come mai sui social network si seguono solo utenti che la pensano come noi è proprio perché le persone tendono a ricercare esclusivamente informazioni che confermino quello che già pensano.
Questo è un tipo di bias cognitivo, confirmation bias, che non è esclusiva del marketing ma è conosciuto a tutti i livelli della comunicazione.
Nel marketing, si può scegliere il pubblico di riferimento e quindi si può strutturare la comunicazione attraverso messaggi che confermino quanto già pensano i clienti target.
Per esempio, se il nostro negozio vende esclusivamente piante che non hanno bisogno di molta manutenzione, la nostra comunicazione dovrà essere in grado di attirare potenziali clienti dal pollice nero, che saranno più invogliati ad arredare casa con piante che non faranno morire in poco tempo.
Bias di ancoraggio
È uno dei bias più conosciuti. Ed è quello legato alla prima idea che il consumatore si fa in merito a un determinato prodotto.
Questo effetto si chiama proprio come l’oggetto che tiene ferme le barche in mare. Nel marketing, quindi, “l’ancora” aiuta a fermare le credenze del consumatore in modo da influenzare le future decisioni.
Se per esempio siamo alla ricerca di un paio di scarpe particolari, molto probabilmente conosciamo il prezzo perché le abbiamo già comprate in passato. A quel punto se ci trovassimo davanti a due offerte, una che propone un prezzo inferiore e un’altra con un prezzo superiore.
Saremo ovviamente più propensi a comprare il paio di scarpe con l’offerta dal prezzo inferiore, non solo perché più conveniente ma perché il primo prezzo conosciuto è quello che ci far ritenere il prezzo scontato un affare.
Come potranno fare i venditori per convincere il potenziale cliente durante gli sconti? Potrebbero scegliere di mostrare il prezzo originario insieme al prezzo scontato.
Pregiudizio dello status quo
Il cambiamento non è sempre il benvenuto nella vita delle persone, perché quasi sempre si preferisce che le cose rimangano come sono. Il cambiamento, anche nel caso porti a un vantaggio, comporta uno sforzo che può spaventare.
L’ignoto fa paura mentre quello che si conosce no e questo genera un bias tipico di molte situazioni come per esempio quella di non volere cambiare operatore telefonico nonostante ciclicamente i concorrenti del nostro operatore offrano prezzi più convenienti.
L’operatore che vuole conquistare un nuovo cliente dovrebbe cercare di non bombardare gli utenti con offerte continue ma cercare di ridurre quasi del tutto le operazioni che dovrebbero sostenere i consumatori e, soprattuto, non devono obbligare gli utenti a cambiare anche a fronte di un oggettivo vantaggio.
Punto cieco o bias blind spot
Quello del blind spot è un bias che emerge quando durante una discussione tra due persone, una di loro assume che entrambi gli interlocutori la pensino uguale, ma quando le opinioni divergono la persona in questione ritiene che il suo punto di vista ricalchi la realtà mentre quello del suo interlocutore no.
Framing
Frame, tradotto in italiano significa “cornice” e può anche essere inteso come inquadramento, ovvero circoscrivere qualcosa, che può essere un giudizio, un’immagine, un prezzo, ecc, entro la nostra convinzione.
Il framing, infatti, è un bias che induce il nostro cervello a considerare le informazioni che riceviamo in base alla “cornice” che le circondano.
Per esempio, se ci piace correre senza essere professionisti, quando andremo a comprare delle scarpe da corsa avremo ascolteremo i prezzi dei vari modelli proposti dal commesso del negozio. Poniamo che ci esponga tre modelli con tre prezzi differenti: basso, medio e alto, che però non presentano specificità particolari.
In questo caso saremmo portati a scegliere in base a quanto siano disposti a spendere. Se invece il commesso presenta i tre modelli in base a un inquadramento “prestazionale” dove il prezzo più alto corrisponde anche al modello con le migliori prestazioni, faremo valutazioni diverse.
Infatti, potrebbe succedere di scegliere non più il prezzo più basso perché ci eravamo imposti di spendere poco, ma saremmo portati a comprare il prezzo intermedio perché consapevoli di non aver bisogno del top di gamma, vogliamo avere ai piedi scarpe che comunque garantiscano buone prestazioni.
Riprova sociale o effetto carrozzone o bandwagon
Un altro bias cognitivo famoso e importante è quello della riprova sociale. È un bias che è sempre esistito ma che ha trovato il suo terreno fertile soprattutto nei social e nel mondo delle recensioni online.
Se prima dell’arrivo di internet ci si affidava all’opinione del famigliare, amico, vicino di casa ma anche della televisione o della radio, ora si cercano le recensioni ovunque e se un prodotto o un ristorante ha nella pagina web di riferimento tante recensioni positive saremo più intenzionati a sceglierlo.
In quanto esseri sociali, siamo propensi a imitare il comportamento altrui per non sentirci isolati ma anche perché lo riteniamo adeguato al nostro stile di vita. In sostanza il bias della riprova sociale è l’arte di influenzare il pubblico attraverso le opinioni di altre persone.
Questo meccanismo si mette al lavoro pianificando il proprio piano editoriale social attuando una selezione di recensioni e opinioni dei clienti, soddisfatti, che già hanno finalizzato l’acquisto del prodotto.
Si fa presto a pensare ad Amazon che vive e va avanti proprio basandosi su questo bias: ogni prodotto ha un certo numero di stelle che si trasformano in recensioni scritte che influenzano il comportamento d’acquisto del potenziale cliente che le legge.
Non essendo gli unici a seguire questo comportamento, si verifica quindi un effetto carrozzone.
Bias dell’ingroup
È un bias simile a quello della riprova sociale ma che rispetto al precedente aggiunge una quota di appartenenza.
Di conseguenza, un consumatore si affida sì alle recensioni e alle opinioni di coloro che hanno già acquistato il prodotto, ma sarà più propenso a tener conto delle opinioni di un gruppo di persone che ritiene simili a sé stesso.
Queste persone possono essere:
- famiglia
- amici
- coetanei
- colleghi di lavoro
- esercenti di fiducia
- politici
- stessa appartenenza religiosa
- condivisione di passioni
- influencer
Nell’epoca dei social network sono gli influencer a sponsorizzare e consigliare prodotti che saremo più disposti a comprare.
E questo diventa quindi un elemento importante nel momento della stesura del piano editoriale: bisogna punta su contenuti che accrescono il senso di appartenenza alla propria comunità.
Chi vuole acquistare un paio di scarpe da running sarà propenso a seguire il consiglio di chi va a correre o di influencer che sono specializzati nella corsa.
Bias di salienza
Questo è un bias che deriva dall’esprimere giudizi e ad arrivare a risultati dipendenti solo da alcune caratteristiche rilevanti, salienti.
Un esempio attuale può essere fatto osservando come vengano esposte dai maggiori quotidiani cartacei, online e televisivi le informazioni relative agli effetti avversi dei vaccini anti-Covid-19. Sottolineare le reazioni post da vaccino con titoloni in prima pagina ha portato molte persone ad aver paura più del vaccino che della malattia.
È chiaro, quindi, che sia una pura distorsione della realtà, spesso utilizzata nella creazione di contenuti video ma anche di giornali, blog o newsletter create apposta.
Anche il marketing sfrutta questo bias quando un brand decide di puntare la sua campagna pubblicitaria non tanto su un prodotto quanto su una sua qualità. L’asciuga capelli di Dyson è Supersonic™ già solo nel nome, ed è chiaro da subito su cosa punta l’azienda, ma sarà davvero in grado di asciugare capelli più velocemente e meglio di altri fon?
Il marchio di Apple ormai arriva prima di qualsiasi Iphone o MacBook, la mela di Cupertino per gli amanti rappresenta un certo di tipo di garanzia difficile da dimenticare. Il rosso cosa fa pensare oltre a Babbo Natale? Alla Coca-Cola, che non Santa Claus ha fatto più di uno spot.
Come abbiamo visto i bias cognitivi sono elementi fondamentali da utilizzare nelle strategie di marketing, perché permettono di aprire nuovi orizzonti di business. Ora non vi resta che implementarli nei vostri processi di marketing aziendale.
Avversione alla perdita
Così come il bias dello status quo non ama il cambiamento, quello dell’avversione alla perdita è legato alla poca passione umana di perdere qualcosa, anche a costo di rifiutare un eventuale guadagno.
Di conseguenza, i consumatori saranno più propensi a prendere in considerazione, fino a comprare, qualcosa che potrebbero perdere nel giro di poco tempo.
Siti come Westwing o Zalando che ciclicamente presentano promozioni a tempo, sono un buon esempio, ma anche Booking fa un gran uso di questo bias.
Fin quasi troppo spesso, infatti, capita di trovare in offerta camere o case descritte come ultime rimaste. Se si è interessati a una stanza che abbia caratteristiche simili a quella in offerta, saremo più tentati dal non volere perdere l’occasione per paura che a breve non sia più disponibile.
Zero-risk o rischio zero
Il bias del rischio zero può essere considerato come una branca del bias dell’avversione alla perdita perché riguarda la tendenza di scegliere offerte che non comportino rischi. È il caso di tutte quelle offerte che presentano le frasi “soddisfatti o rimborsati” negli slogan pubblicitari o quei siti che consento i periodi gratuiti di prova.
Halo effect o effetto alone
È un bias cognitivo che, in breve, può essere riassunto come il bias della prima impressione. E questa prima impressione può essere influenzata da alcuni fattori come:
- aspetto fisico
- abbigliamento
- odore/profumo
- autorevolezza
I brand lavorano molto sul dare una buona impressione dal primo momento così da rimanere impressi nella mente del consumatore