Aldo Agostinelli

Un patto corredato da numerose clausole di riservatezza ha portato il colosso di Mountain View in tribunale, con l’accusa di abuso di monopolio: ecco cosa nascondeva

Nel 2017 Facebook ha iniziato a sperimentare nuove strade per vendere pubblicità online. I risultati, ha fatto sapere l’azienda, avrebbero potuto mettere in serio pericolo l’egemonia di Google sul mercato del digital advertising. Sennonché, meno di due anni dopo, il social network ha fatto dietrofront. Unendosi a un’alleanza di aziende che stavano intraprendendo un simile progetto insieme allo stesso Google. Facebook non ha mai spiegato il perché di questo cambio di marcia. Ma le prove esposte in una causa antitrust, presentata da dieci procuratori generali statunitensi il mese scorso, mostrano come Google abbia concesso a Facebook, il suo più grande rivale nel campo del digital advertising, un accordo difficile da rifiutare (Behind a Secret Deal Between Google and Facebook).

Google: molti privilegi per Facebook

I dettagli del patto sono stati censurati nella denuncia presentata al tribunale federale il mese scorso. Non lo erano, però, nella bozza della stessa denuncia esaminata in precedenza dal New York Times. I dirigenti di sei degli oltre venti partner dell’alleanza, che hanno parlato a condizione di anonimato, hanno dichiarato al giornale che gli accordi con il colosso di Mountain View non includevano molti degli stessi generosi vantaggi concessi a Facebook. Mettendo così in luce una chiara disparità nel modo in cui le loro aziende sono state trattate (10 States Accuse Google of Abusing Monopoly in Online Ads).

Un rischio per la concorrenza?

La divulgazione del patto tra i giganti della tecnologia ha rinnovato le preoccupazioni su come i big tech tendano ad unire le forze per schiacciare la concorrenza. Spesso si tratta di accordi concordati in privato e corredati da clausole di riservatezza che ne oscurano i passaggi cruciali. Google e Facebook hanno spiegato che si tratta di una prassi comune e innocua nel settore del digital advertising. La portavoce di Google Julie Tarallo McAlister ha affermato che la denuncia “travisa questo accordo, così come molti altri aspetti della nostra attività di digital advertising”. Christopher Sgro, portavoce di Facebook, ha detto che simili accordi, al contrario di quanto si pensi, “aiutano ad incrementare la concorrenza nelle aste pubblicitarie” a vantaggio di inserzionisti ed editori (Inside the Google-Facebook Ad Deal at the Heart of a Price-Fixing Lawsuit).

Programmatic: l’accordo segreto “Jedi Blue”

In ogni caso, più delle opinioni parlano i numeri: Google e Facebook hanno gestito oltre la metà degli investimenti pubblicitari online nel 2019. L’accordo tra Facebook e Google, nome in codice “Jedi Blue”, riguarda un segmento in crescita del mercato del digital advertising: il programmatic. La pubblicità online attira centinaia di miliardi di dollari di entrate ogni anno e la compravendita automatizzata degli spazi rappresenta oltre il 60% del totale. Nei millisecondi che intercorrono tra il clic di un utente e il caricamento degli annunci della pagina, le offerte per lo spazio pubblicitario disponibile vengono posizionate sulle cosiddette piattaforme di scambio. Poi, l’offerta vincente è trasmessa a un ad server. Sia la piattaforma di scambio, sia l’ad server di Google sono dominanti (Research: Untangling Header Bidding Lore).

Header Bidding e Open Bidding

Per ridurre la dipendenza dalle piattaforme pubblicitarie di Google è emerso un metodo alternativo, chiamato “Header Bidding”. I siti sollecitano offerte da più piattaforme di scambio contemporaneamente, contribuendo ad aumentare la concorrenza e determinando così prezzi migliori. Secondo una stima, nel 2016 oltre il 70% degli editori ha adottato questa soluzione. Google è subito intervenuto sviluppando una sua alternativa, chiamata Open Bidding, creando un’alleanza di piattaforme di scambio. Open Bidding consente alle aziende partecipanti di competere contemporaneamente. E il motore di ricerca incassa una commissione per ogni offerta vincente (This new technology is changing web advertising).

Tutti i vantaggi a favore di Facebook

Facebook ha dichiarato di aver aderito al programma di Google ma non di avere ottenuto vantaggi straordinari. Tra i quali una velocità maggiore, in modo da ottenere successo nelle aste, e un “tasso di vincita” garantito. In questo mercato, dove le frazioni di secondo fanno la differenza, un vantaggio di velocità è decisivo. Facebook aveva 300 millisecondi per fare offerte per gli annunci, secondo i documenti del tribunale. I dirigenti delle altre società partner hanno affermato di averne solo 160. Il tasso di vincita garantito, poi, è stato l’elemento che ha fatto definitivamente scattare la denuncia di illegittimità. Non solo: Facebook aveva rapporti di fatturazione diretti con i siti in cui sarebbero apparsi gli annunci. Per la maggior parte degli altri partner, Google controllava invece le informazioni sui prezzi, creando di fatto un muro tra i partecipanti a Open Bidding e i proprietari dei siti. Google ha accettato di aiutare Facebook a conoscere chi avrebbe visto gli annunci, concedendo all’azienda di identificare l’80% degli utenti mobile e il 60% degli utenti web (Facebook and Google have been accused of striking a secret, illegal advertising deal).

Adam Heimlich, amministratore delegato di Chalice Custom Algorithms, una società di consulenza, ha affermato che l’accordo ha dato a Facebook così tanto vantaggio che è stato come consentire al social network di “iniziare ogni torneo dalle finali”. Un’immagine che illustra più di molte parole il predominio raggiunto da Google a Facebook. Una posizione e un’autonomia difficili da scalfire, forse, nonostante i tentativi di porre degli argini da parte della giustizia.

Il mondo del digital advertising troverà il modo di incentivare la concorrenza o il potere si concentrerà sempre più nelle mani di pochi? Tweettate i vostri commenti a @agostinellialdo

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Aldo Agostinelli