Aldo Agostinelli

Gli inserzionisti devono avere fiducia in Facebook? Poca o nulla secondo Axel Springer Ceo del gruppo editoriale tedesco Media Impact. A seguito dello scandalo “Cambridge Analytica” che, ricordo, nel marzo dello scorso anno ha visto Facebook al centro di feroci polemiche per un brutto affaire di vendite dei dati degli utenti a terzi, la società ha commissionato uno studio in Germania, per sondare come e quanto la faccenda abbia impattato sull’affidabilità attribuita al social dai suoi frequentatori. E i risultati non sono molto positivi. O, al contrario, lo sono molto per quegli editori che, stufi del duopolio pubblicitario dominato da Google e dalla creatura di Zuckerberg, spingono per l’affrancamento (Facebook e Google, il duopolio che preoccupa gli advertiser)

Secondo la ricerca, condotta su un campione di oltre 4.000 utenti tra i 16 e i 49 anni, più del 50% degli intervistati rilascia dichiarazioni false per proteggere la propria identità. Per il 46%, invece, nel prossimo futuro Facebook perderà notevolmente terreno a favore di Instagram.

In Europa il social ha perso circa 3 milioni di utenti attivi quotidianamente. Pochi se paragonati ai 2,23 miliardi che lo usano a livello mondiale e ai 32 milioni di utenti della Germania, ma pur sempre una crepa che apre uno spiraglio di cui gli editori vogliono approfittare. Alla testa dei “rivoltosi”, troviamo proprio il colosso editoriale di Springer, che vanta 40 testate digitali, tra cui Business Insider e Bild. Il gruppo da tempo si è svincolato dal giogo pubblicitario di Google e sta incoraggiando gli altri publisher a fare lo stesso. Di più: ha sviluppato in proprio un sistema di valutazione e una piattaforma open-source per l’advertising (We’re giving them a harder time’: Axel Springer tries to turn up heat on Facebook).

L’altro grande gruppo editoriale tedesco Gruner Jahr, pur continuando a collaborare con Facebook, ammette che il suo volume di traffico, generato tramite il social, ha riscontrato un calo compreso tra il 50 e l’80%. Un dato rilevato anche da altri publisher un po’ in tutta Europa: in Francia il traffico è crollato del 18%, nel Regno Unito del 26%. Extra Ue i referral sono calati del 40% negli Stati Uniti.

Ma il punto non è meramente una questione di soldi. Se da un lato è vero che la maggior parte delle entrate viene trattenuta dai due monopolisti del digital adv, dall’altra si tratta ormai anche di una questione di qualità dei contenuti. Meno denaro uguale a meno indipendenza del giornalismo. E su queste basi il gruppo di Springer si sta facendo promotore di una battaglia per “un giornalismo puramente digitale, indipendente ed economicamente autonomo”.
Come ho approfondito in “Informazione online: il trend “tutto gratis” cambia rotta”, complice il dilagare delle fake news, i lettori sono divenuti più propensi a pagare per leggere notizie verificate e attendibili. Un esempio è il boom di abbonamenti digitali registrati dal New York Times e del Washington Post nell’ultimo anno o dei 350mila in aumento raccolti da Bild. Ma gli abbonamenti possono coprire solo una parte dei fondi necessari al sostentamento di un giornale. Il resto sta alla pubblicità: riappropriarsi di quella, per i media significa riacquistare indipendenza. Per questo l’esortazione di Springer è che le piccole, medie e grandi case editrici condividano i propri dati, in modo da poter fare affidamento su una forza vendita all’altezza di ciò che Google e Facebook offrono.

In tale prospettiva, Media Impact ha lanciato il progetto Verimi, in partnership con Deutsche Bank, BN Allianz, Deutsche Telecom e Lufthansa. Il piano, senza precedenti, è la creazione di un ID digitale comune che dovrebbe consentire a qualsiasi utente tedesco di accedere a tutti i servizi dei membri dell’alleanza. L’obiettivo è consentire all’utente di memorizzare la sua identità digitale in una “cassaforte europea”, gestirla e decidere anche se può essere usata per scopi commerciali, secondo il principio di opt-in (“D’autres éditeurs européens pourront rejoindre l’alliance Verimi“).

Presto Verimi sarà aperta ai publisher europei. E forse sarà l’inizio della fine del duopolio dell’advertising di Facebook e Google. Il tempo saprà dirci.

Che opinione avete in merito alla questione del duopolio della pubblicità digitale esercitato da Google e Facebook? Tweettate i vostri commenti a @agostinellialdo.

Per scoprire di più sul mondo digitale, leggete il mio nuovo libro: “People Are Media” 

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Aldo Agostinelli