L’open innovation, ossia l’innovazione aperta, si sta evolvendo. L’ultimo rapporto “Open Innovation – Outlook 2020”, curato da Mind The Bridge e Nesta, attraverso le interviste a 36 CIO e Heads of Innovation globali tenta di delineare le traiettorie principali del cambiamento.
Il concetto di “open innovation” nasce nel 2003. Ad introdurlo è l’economista statunitense Henry Chesbrough. Nel suo libro “Open Innovation: The New Imperative for Creating and Profiting from Technology” sostiene che la “closed innovation”, ossia l’innovazione chiusa tra le mura dell’azienda, non è più sufficiente per competere nel mondo globalizzato, in cui il ciclo di vita dei prodotti è sempre più breve. La soluzione indicata è aprirsi alla ricerca e alle collaborazione esterne.
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Accogliere dunque anche idee, progetti e know-how tecnologico al di fuori dell’impresa, aprendosi ai contributi di start-up, università e professionisti. Innovazione aperta, appunto (Che cos’è l’open innovation – e perché tutti dicono di volerla fare).
Le tre vite della open innovation
Durante due decenni la open innovation ha vissuto tre fasi distinte. La prima, quella delle origini, è stata definita l’era del marketing. In questa fase iniziale, quasi embrionale e priva di piena consapevolezza, le aziende si sono preoccupate soprattutto di comunicare il loro grado di innovatività, piuttosto che a concretizzarlo. E, ça va sans dire, le collaborazioni erano abbastanza superficiali.
La seconda fase, quella che ci siamo appena lasciati alle spalle, è l’età della collaborazione. Assimilato il paradigma della open innovation, le aziende hanno coinvolto le varie componenti business interne, strutturato un’unità dedicata alle partnership e avviato seriamente collaborazioni, investimenti e acquisizioni.
Oggi siamo in piena età dei risultati. È l’epoca della raccolta dei frutti, soprattutto economici, del lavoro svolto in precedenza. Gli investimenti e le acquisizioni delle start-up devono produrre in termini di ritorno sul capitale distribuito (uscite) e contribuire agli obiettivi aziendali: più efficienza, meno uscite, più entrate. Dalle parole ai fatti, si si punta alla concretezza e le partnership più ricercate sono quelle che incidono positivamente sull’EBITDA (Earnings Before Interest, Taxes, Depreciation and Amortization), ossia sul margine operativo lordo (Cos’è l’EBITDA: significato, calcolo e utilizzo).
I 4 macro trend della open innovation 2020
In quest’epoca dei risultati, l’Outlook 2020 individua quattro forti tendenze:
1. I procurement si rafforzano
Sono la modalità predominante di coinvolgimento delle start-up aziendali. La stragrande maggioranza (96%) delle Corporate Startup Stars continuerà a coinvolgere commercialmente le start-up attraverso POC finanziati (proof of concept) e progetti pilota. In forte aumento anche il co-sviluppo attraverso gli ” “startup studios”.
2. Crescita delle acquisizioni
Aumenta la spinta all’acquisto delle start-up (80% contro il 76% del 2019) e resta forte anche quella degli investimenti.
3. Rallentamento degli Acceleratori
Il trend che si era delineato nel 2019, si fa netto nel 20202: le aziende stanno ridimensionando, se non quando abbandonando, i programmi di accelerazione di start-up aziendali.
4. Aumenta la caccia alle start-up
Chi ce l’ha lo mantiene, chi non ce l’ha ancora ha in programma di averlo e ha predisposto investimenti di scouting dedicati: la maggioranza delle aziende vuole avere un proprio avamposto nei principali cluster dell’innovazione.
I principali hub tecnologici del mondo sono:
la Silicon Valley (il 91% è già attivo, il restante 9% prevede di esserci nel prossimo futuro)
Israele (82% è già presente, il 9% prevede di esserci)
Londra, Parigi, Berlino (82% è già presente, 4% ha pianificato di arrivarci)
Cina (45% presente, 23% ha in programma)
India (50% presente, 14% ha in programma
America Latina (50% presente, 14% in programma)
Medio Oriente e Africa (“solo” il 36% è presente e il 14 ha in programma)
E l’Italia?
Il nostro Paese ha finalmente assimilato concettualmente l’open innovation. Ma tra il dire e il fare…( Open Innovation, Outlook Italy 2020 – Report).
Mentre le grandi aziende sono giocatori attivi e hanno collaborazioni startup-corporate, le PMI restano indietro. E datosi che sono le piccole e medie aziende a comporre la spina dorsale economica del Paese, questo è un ritardo che rischiamo di scontare. L’innovazione aperta, infatti, funziona a prescindere dalla grandezza di un’azienda ed è indubbio renda competitivi e strategici sul mercato. Forse è il caso di darci tutti una svegliata e anche in fretta.
In che modo dovrebbe attivarsi l’Italia per non perdere terreno nel campo dell’innovazione? Inviatemi la vostra opinione tweettando a @agostinellialdo.
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