Aldo Agostinelli

Il General Data Protection Regulation potrebbe avere pesanti ripercussioni sui publisher e sugli utenti in rete. Vi spiego perché.

Non tutti ancora se ne sono accorti ma tra le pieghe della nuova proposta sull’ePrivacy dell’Unione Europea, presentata il 10 gennaio scorso, è nascosta una “sorpresa”, che rischia di rivelarsi un vero boomerang sia per l’industria dei media che per i suoi fruitori.

Il documento che, se approvato, dovrebbe sostituire la direttiva 2002/85/CE, non è di poco conto, anzi. Riguarda infatti le regole a tutela dei dati personali dell’utente in ambito digitale, ossia di tutti noi. Per dirla con le stesse parole dei relatori <<The ePrivacy Directive ensures the protection of fundamental rights and freedoms, in particular the respect for private life, confidentiality of communications and the protection of personal data in the electronic communications sector. ensures the protection of fundamental rights and freedoms, in particular the respect for private life, confidentiality of communications and the protection of personal data in the electronic communications sector>>.

Una tutela sacrosanta. Se non fosse per alcune righe che minano l’economia su cui si regge l’editoria nel suo complesso: la pubblicità!

Sepolte tra i vari emendamenti dell’ePrivacy Regulation si legge infatti: <<A nessun utente può essere negato l’accesso a qualsiasi servizio [on-line] o funzionalità, a prescindere dal fatto che il servizio sia remunerato o no, in ragione del fatto che non ha dato il proprio consenso al trattamento di informazioni personali e/o all’uso delle capacità di memorizzazione del suo dispositivo>>.

Tradotto per i non addetti, significa che i publisher (news, social, entertainment, service) sono tenuti a consentire ai lettori l’accesso ai loro siti, anche se questi ultimi bloccano la pubblicità.
Ma internet si basa sullo scambio di dati. Nel caso specifico tra lo scambio dei dati tra un computer e/o smartphone dell’utente e i server degli editori. Se approvata, la direttiva impedirebbe di applicare questo scambio alla pubblicità (a meno che il consumatore non abbia accettato di ricevere gli annunci) e obbligherebbe comunque a fornire i contenuti.

È la fine di un modello di business del digital marketing. E chi tra sé e sé sta gioendo per la morte della fastidiosa pubblicità, dovrebbe fermarsi a riflettere su quanto questa dipartita digitale costerà al suo portafogli reale.

Come spiega chiaramente Randall Rothenberg, presidente di IAB, se approvata, la “Regulation on Privacy and Electronic Communications” sarebbe devastante per i consumatori in tutta Europa. Se infatti gli utenti avessero la possibilità di bloccare la pubblicità senza conseguenze, per mantenere in attivo le proprie aziende i media sarebbero costretti a sostituire il 76% delle entrate proveniente dall’adv in altri modi. Quali? Il più ovvio è facendo pagare servizi e contenuti, oggi gratuiti, a caro prezzo. Eccone un assaggio: Financial Times.
E dal momento che le imprese che operano in Europa sarebbero soggette alla nuova regolamentazione, la proposta provocherebbe ripercussioni in tutto il mondo (European regulators are about to kill the digital media industry).

L’auspicio è che l’UE rivaluti il suo approccio prescrittivo alla privacy che ostacola l’innovazione delle aziende europee e riconosca la dipendenza dei mass media dalla pubblicità.

Sia dal lato publisher che dal lato utente, cosa pensate della proposta sull’ePrivacy dell’Unione Europea? Tweettate  i vostri  commenti  a @agostinellialdo.

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Aldo Agostinelli