<<Quando si tratta di pubblicità su Facebook, le persone dovrebbero essere in grado di dire chi è l’inserzionista e vedere gli annunci che stanno pubblicando>>: in due parole, pubblicità trasparente. Ossia mostrare “chi” paga “quanto” per promuovere “cosa”: la nuova policy sull’advertising, annunciata in un lungo post lo scorso ottobre a firma Rob Goldman, VP dell’Ads di Facebook, sta procurando gran mal di testa a molti, politici in primis. Read it in english.
La maggiore rintracciabilità sugli annunci pubblicitari promessa da Zuckerberg a settembre, a seguito dello scandalo delle ingerenze dei Russi nelle politiche americane 2016 e non solo, è stata mantenuta. Con un grande ma: è stata estesa a tutti i tipi di annunci. Dunque non solo a quelli di propaganda elettorale o di orientamento degli elettori per combattere le fake news ma anche agli spot commerciali delle aziende.
Il sistema funziona così: l’utente che si trova a passare su una pagina fan, avrà un nuovo pulsante a disposizione, il “View Ads”, cliccando il quale avrà accesso alla lista di tutti gli annunci che i gestori della pagina hanno promosso non solo sul social ma anche su Instagram e Messenger. La lista include anche gli annunci targettizzati, cioè è possibile vedere gli annunci a pagamento anche se l’utente non rientra nella fascia di pubblico a cui sono indirizzati.
Facebook ha intenzione anche di creare un archivio degli ultimi 4 anni, all’interno del quale si potrà verificare quante impression ha ottenuto ogni annuncio, l’importo totale speso per l’annuncio e informazioni demografiche su età, posizione e genere del pubblico raggiunto dall’annuncio (Facebook Unveils New Political Ad Disclosure Rules To Combat Election Meddling)
Ma in che misura divulgare le cifre spese per un determinato annuncio può rivelarsi un boomerang in termini di ritorno di immagine per il brand? E poi: permettere alla concorrenza di sapere quanto e come un’azienda investe parte del proprio budget pubblicitario, che impatto avrà sulla stessa? I più ottimisti sostengono che la nuova policy favorirà la creatività, spingendo a un maggiore impegno i professionisti dell’adv, secondo altri, invece, i competitor avranno a disposizione uno strumento di monitoraggio gratuito e si darà la stura alla scopiazzatura senza sforzo (La nuova policy Facebook sulla trasparenza della pubblicità).
Intanto anche Facebook ha isuoi grattacapi: il Governo australiano ha nominato un commissario per verificare i guadagni dei ricavi di tutti gli aggregatori di contenuti e indagare esattamente quale imposta locale viene pagata da Google e Facebook su tutte le entrate derivanti da inserzionisti e consumatori australiani. Tutti gli accordi fiscali offshore utilizzati dalle piattaforme sono perseguiti attivamente dall’ufficio delle imposte. Perché se da un lato il popolare social pensa alla limpidezza della pubblicità, alcuni Paesi iniziano a muoversi per contrastare la cannibalizzazione del mercato pubblicitario digitale da parte dei global player a scapito dei media locali. Nellospecifico Google e Facebook sono accusati di aver “dirottato” 4 miliardi di dollari di entrate pubblicitarie australiane sulle loro piattaforme, perché gli editori si sentono inobbligo dipubblicarci contenuti per mantenere il proprio pubblico (Google, Facebook to be forced to reveal commercial secrets).
Tornando ai brand, salvo modifiche della policy, avranno tempo fino all’estate per trovare risposte, ottenere chiarimenti dal social ed eventualmente approntare nuove strategie. Staremo a vedere cosa accadrà nei prossimi mesi.
Ritenete sia giusto che la nuova policy adv di Facebook sia estesa anche alle aziende? Cosa ne pensate delle nuove regole? Inviate i vostri commenti a @agostinellialdo.
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