Qualità o quantità possono fare una grande differenza quando si parla di ricerche di marketing. Ecco perché
Qualità o quantità? Se vi chiedessi cosa preferite, sono discretamente certo che la maggior parte di voi risponderebbe senza esitazione: <<Qualità!>>. Il concetto di quantità, buttato così a freddo e senza contestualizzazione, in effetti non ha una dimensione esatta. Quantità di cosa? In che misura? A proposito di quale bene o servizio? Non c’è dubbio: in un caso simile la qualità vince.
Il discorso, però, prende una piega completamente diversa se proiettiamo la medesima domanda sullo sfondo delle ricerche di marketing. È qui, all’interno di questo immenso contenitore che parte dai produttori, attraversa tutto il management e arriva sino al consumatore finale che, a mio avviso, i dati la fanno da padrone. Ed è questo il terreno sul quale, se mi ponessero il medesima sintetico quesito, nove volte su dieci risponderei: <<Quantità>>.
La differenza tra qualitativo e quantitativo
La differenza tra le ricerca di marketing qualitative e quelle quantitative, è che le prime vengono condotte su un ristretto numero di individui, statisticamente non rappresentativo del target indagato, e puntano a fornire dettagli, approfondimenti, orientamenti, opinioni e reazioni verso un processo, un prodotto, una pubblicità; le seconde coinvolgono generalmente campioni ampi e si occupano – cito – di “raccogliere i fatti nudi e crudi, le cifre. Si tratta di dati statistici e strutturati, che sono di supporto per trarre dalle ricerche conclusioni di carattere generale>> (Glossario Marketing).
E spesso i dati qualitativi e quelli quantitativi non coincidono.
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Quando i dati fanno a pugni
Una ricerca condotta da YouGov e Grey London, su un campione di 2240 britannici
over 18 e riportata da The Drum, afferma che il 96% degli interpellasti non si
fida degli influencer. Letta così, le informazioni qualitative indicherebbero
che l’influencer marketing è defunto. Almeno in Gran Bretagna (People
in the UK do not trust what influencers say).
Non fosse che, sempre nel Regno Unito, i dati quantitativi raccolti
nello stesso periodo da Izea sostengono l’opposto:
la popolarità e il seguito dei fan degli influencer è cresciuto, al punto che
il prezzo medio di una foto è passato da 104
sterline nel 2014 a 1.276 nel 2019. I brand si contendono i testimonial
social e con l’affermarsi delle Stories su Instagram, i “bundle
sponsorizzati” sono emersi come formato preferito delle campagne di
influencer marketing dei brand (The average price brands pay Instagram influencers for
sponsored posts has surged this year; Social-media
influencers: Incomes soar amid growing popularity).
Anche ammettendo che, magari, come piattaforma di influencer marketing Izea sia di parte e, quindi, tiri l’acqua al suo mulino, la discrepanza è enorme e resta l’incremento delle medie dei pagamenti a testimoniare se l’influencer marketing sia un fenomeno al capolinea oppure no.
Tra numeri e opinioni
In parole povere si tratta di descrizione contro misurazione. Fintanto che le ricerche qualitative vengono basate su domande a risposta multipla, mantengo ancora una discreta fiducia. Ma se si entra nel campo delle risposte aperte, del “cosa ne pensate di?”, classica domanda da sondaggio sul sentimento, il mio scetticismo aumenta notevolmente.
In particolare quando l’indagine sul sentiment è rivolto al management di un’organizzazione o di un’impresa.
Evitiamo fraintendimenti: non sono contrario alle ricerche qualitative tout court. Sono però in disaccordo su quelle ricerche qualitative interne di marketing, condotte su ristretti focus group o con questionari individuali che, invece di fornire numeri, trend e dati certi, puntano all’interpretazione di punti di vista, dichiarazioni più o meno (spesso molto meno) veritiere e perciò opinabili, perché non suffragate da elementi concreti sulle vendite, la produzione e la distribuzione. Così che, alla fine, le informazioni non coincidono con la realtà di dove, come e per cosa vengono destinati e impiegati i soldi dell’impresa o quali azioni/prodotti/servizi portano risultati.
In uno scenario di digital transformation, per esempio, le ricerche qualitative, se non condotte rigorosamente e con modelli attendibili, possono rivelarsi un vero boomerang, di cui si pagherà lo scotto a cose fatte. Ossia quando è tardi e si sono già investiti tempo e denaro.
In quale tipo di ricerche riponete fiducia? Inviatemi la vostra opinione tweettando a @agostinellialdo.
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