Aldo Agostinelli

Da tecnologia misconosciuta ai più qual era, ultimamente la Blockchain è divenuta una tecnologia sulla bocca di tutti (o quasi), indicata come la soluzione perfetta da applicare a qualunque ambito. La frase che più spesso si sente affermare è che se la criptovaluta è una bolla, invece la tecnologia alla sua base è rivoluzionaria.

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Vero o falso? Secondo lo studio condotto da Ender Analysis “Blockchain: Reinventing the wheel”, la risposta è nì. Perché sì è una tecnologia utile ma non di certo una panacea per migliorare qualsiasi sistema o per sciogliere qualunque nodo fino al “problema del confine irlandese creato dalla Brexit” come è stato detto.

La prima distinzione che andrebbe fatta è tra la Blockchain in senso stretto, quella legata a fil doppio al bitcoin, e la blockchain-inspired technology (BIT), ossia la tecnologia ispirata alla blockchain in cui è assente la criptovaluta. La BIT opera in diversi modi ed ha l’obiettivo di ottenere cose simili alla vera blockchain, abbandonando al contempo i suoi aspetti più scomodi. Ma, a detta di Ender Analysis, non è rivoluzionaria, mentre la Blockchain autentica è innovativa in molti aspetti. Prima tra tutte la decentralizzazione e il controllo dei vari blocchi inseriti (se non sapete a cosa mi sto riferendo, v’invito a leggere Blockchain, la “next big” thing che rivoluzionerà il marketing). Ma essendo stata concepita come sistema di pagamento, non è così immediatamente applicabile a molti altri ambiti, perché necessita della presenza di una criptovaluta e perché raramente si ha bisogno dell’estrema decentralizzazione o immutabilità che offre.

L’inalterabilità dei dati, la resistenza alla manomissione, in certi casi può essere persino controproducente. Prendiamo il GDPR: offre ai cittadini un “diritto all’oblio”, secondo cui la società che detiene i dati è tenuta a cancellarli. Cosa che diventa assai difficile se i dati sono su una blockchain immutabile. Senza contare il fabbisogno di energia dovuta al numero di computer necessari e alla loro potenza di calcolo. Per fare un esempio secondo blockchain.info, la rete bitcoin calcola più di 1019 volte al secondo; un processore di un computer standard opera ad una velocità dell’ordine di 109 operazioni al secondo. Così in molte situazioni un sistema centralizzato resta la risposta migliore in termini di costi/efficienza.

Passiamo alla BIT. La domanda giusta da porsi in relazione alla sua utilità non è “Che potenziale ha la tecnologia?” ma “Quanto conviene ottenere ciò che le persone vogliono utilizzando la blockchain?”. Per la condivisione dei dati tra e all’interno delle istituzioni converrebbe molto. Pensiamo ai dati dei dipartimenti governativi, a quelli sanitari o anche aziendali. Qui però sorgono problemi di altra natura, riservatezza, privacy e anche diffidenza. I dati proprietari archiviati dalle aziende sulle abitudini dei loro clienti potrebbero rendersi utili anche per terze parti ma sono troppo preziosi affinché una società li ceda. E quindi? Che si tratti di Blockchain pura o di BIT,si può senz’altro aumentare l’efficienza di un sistema ma prima di buttarsi a capofitto in una tecnologia è bene adottare un approccio distaccato, soppesare i fini e agire solo se ne vale la pena.

Che idea vi siete fatti della Blockchain e della BIT? Tweettate i vostri commenti a @agostinellialdo.

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Aldo Agostinelli