Aldo Agostinelli

Tacciate di preferire da sempre un modello di comunicazione esterna e un modello di organizzazione interna basati sullo stereotipo maschio alfa-bianco-tradizionalista, il movimento BLM ha costretto le ad agency a mettere a nudo le loro policy sulla diversità, l’inclusione e il supporto ai talenti delle minoranze. E ad agire. Ecco come.

Terremoto Black Lives Matter (BLM): dopo l’uccisione del 46enne George Perry Floyd, il 25 maggio 2020, a Minneapolis, Minnesota, le proteste non si sono esaurite nelle piazze e nei social ma hanno provocato un’onda di cambiamento che ha coinvolto tutti i settori, dalla moda allo sport fino all’advertising.

Un esempio su tutti: la decisione dei Redskins di abbandonare il nome storico in favore di uno nuovo che non evochi razzismo e sterminio (il logo della squadra di football americano di Washington è un indiano di profilo).

E sotto la spinta di sponsor, inserzionisti e opinione pubblica, anche per il mondo dell’advertising è giunto il momento del ripensamento generale delle strategie da adottare per dirimere questioni (interne  ed esterne) quali la disuguaglianza e la discriminazione.

Le grandi agenzie pubblicitarie si convertono all’inclusione

Da tempo accusate di essere troppo lente (per non dire recalcitranti) ad agire, i grandi dell’advertising hanno quindi dovuto cedere alle pressioni prodotte dal movimento Black Lives Matter e accelerare verso il cambiamento.

Le prime a muoversi sono state le ad agency del Regno Unito che, in una lettera aperta, hanno espresso un invito ad aprire gli occhi sui problemi del razzismo sistemico e ad affrontarli.

Alla lettera ha fatto seguito una “Call for Change” , firmata da seimila professionisti della pubblicità nera, che definisce un programma per il cambiamento da attuare in 12 step.

E poi le holding che ospitano alcune delle più grandi agenzie pubblicitarie del mondo si sono messe in moto.

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Non solo buone intenzioni

The Drum ha realizzato una sorta di sunto delle azioni che le ad agency intendono intraprendere per uscire dal guado in cui, diciamolo, da immemore tempo si sono infilate da sole. Ecco alcuni esempi:

  • La multinazionale WPP ha annunciato uno stanziamento di 30 milioni di dollari per finanziare programmi di inclusione, oltre a una serie di impegni e all’applicazione dei 12 step per combattere l’ingiustizia razziale e sostenere i talenti delle minoranze. Si è anche impegnata ad elaborare strategie di digital marketing solo per brand e partner che applichino l’uguaglianza al loro interno.
  • Havas ha lanciato un media marketplace che rappresenta publisher di proprietà di neri, ispanici, LGBTQ + e altri editori che fanno capo a minoranze sottorappresentate.
  • La holding Publicis si è impegnata a coltivare le carriere dei talenti neri in tutti i ruoli all’interno della propria organizzazione, medianteprogrammi strutturati, tutoraggio e coaching personalizzato. Inoltre ha stanziato 45 milioni di euro in tre anni per sostenere i programmi di formazione e di sviluppo dell’apprendistato di ONG e organizzazioni che lottano contro il razzismo e le disuguaglianze (Black Lives Matter: what have advertising’s biggest agencies promised?)

Che spot guarderemo?

Quanto letto è per ciò che attiene all’organizzazione interna delle agenzie pubblicitarie. Ma per quanto riguarda la pubblicità in sé? Gli spot online e offline, i video, i banner diverranno più rispettosi delle differenze, non solo razziali ma anche di genere?
Non resta che attendere che passi il momento emotivo, per scoprire se il sistema advertising nel suo complesso è davvero mutato nel profondo e in positivo o se ha passato solo una mano di vernice sugli errori e le discriminazioni di decenni.

Cosa ne pensate? Agli intenti seguiranno le azioni? Il mondo della pubblicità sta finalmente attuando un rinnovamento? Ditemi la vostra twittando a @agostinellialdo.

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Aldo Agostinelli