Dalla notte dei tempi l’uomo si è occupato di controllare l’andamento dei fiumi per prevenire inondazioni e siccità. Ma quello che prima si faceva ad occhio in maniera artigianale, ora si realizza attraverso i dati. Secondo gli esperti, recentemente riunitisi a Roma per il Summit internazionale Water and Climate, le analisi di tutte le rilevazioni sono ormai indispensabili per poter intervenire efficacemente sugli effetti dei cambiamenti climatici sui grandi corsi d’acqua, sempre più colpiti da periodi intensi di piogge o sole battente. C’è solo un problema: mancano le centraline nei Paesi poveri per il rilevamento delle informazioni e, per usare un eufemismo, scarseggiano gli analisti in grado di studiarle per fornire risposte concrete. Read it in English.
Lo European Centre for River Restoration ha segnalato che, mettendo a confronto la sola città di Vienna e una provincia dell’Etiopia, in quest’ultima il numero di centraline ambientali di controllo equivale a meno di 1/10 di quelle nella capitale austriaca. Una cifra troppo bassa per poter parlare di serio “controllo ambientale”. È evidente che i dati raccolti non siano minimamente paragonabili con quelli delle città europee.
Nonostante le difficoltà, però, anche i rappresentanti arrivati dai Paesi più poveri all’importante incontro hanno ammesso che il controllo dei dati e la loro condivisione è indispensabile per permettere il miglioramento della risposta ai tanti effetti del climate change (in proposito leggi anche Big data, la potente arma degli scienziati in difesa del pianeta). Solo così in questo modo, infatti, si potrà disporre di una mappa chiara e istantanea di fenomeni differenti che si svolgono in contemporanea. Per fare un esempio: mentre provoca pesanti alluvioni in Sudan, nello stesso identico periodo il fiume Nilo è causa di prolungate siccità in Etiopia. Continuando ad applicare i metodi tradizionali, occorrono mesi per studiare eventi del genere, procrastinando interventi che invece sono utili e preziosi per le popolazioni.
Fortunatamente, la condivisione dei dati e degli studi inizia ad essere sempre più diffusa anche via web. Le autorità dei grandi fiumi stanno predisponendo database pubblici da poter sfogliare su internet, con progetti open-data per aiutare gli studiosi e facilitarne il lavoro. E non si tratta di realtà di esclusivo appannaggio del mondo occidentale, come il U.S. Geological Survey Surface-Water Data for USA, ma anche di realtà come il Mekong.
Il problema, e non di poco conto, resta però la scarsa disponibilità di esperti capaci di leggere i big data e renderli quella preziosissima risorsa che sono. Senza contare il fatto che ancora non si parla di big data in senso stretto ma solo di “grandi quantità di dati”.
Nel momento in cui “le grandi quantità” diverranno big data, allora tali figure serviranno ancora di più. Il tempo però stringe e il climate change non aspetta. Sarebbe quindi il caso di accelerare sia su un fronte che sull’altro. Per il bene dei corsi fluviali e di tutti noi.
Cosa ne pensate del climate change e della salvaguardia dei grandi corsi d’acqua? Quali azioni ritenete occorrerebbe intraprendere sin d’ora? Tweettate i vostri commenti @agostinellialdo.
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