Aldo Agostinelli

Elusione fiscale non è evasione. Sebbene entrambe le pratiche mirino a pagare meno tasse e tributi, infatti, la prima non è sanzionabile, mentre la seconda, se riferita ad una somma non versata, non dichiarata, occultata ecc, superiore a 30mila euro, è un reato penale. L’elusione, in sostanza, procura vantaggi fiscali, quindi benefici economici, a chi la opera ma, essendo eseguita con modi o azioni che riescono a rispettare la legge, spesso in equilibrio sulla sottile linea che separa ciò che è lecito e ciò che non lo è, non viene perseguita. In certi casi, però, rappresenta una macroscopica e ingiusta sottrazione di quanto dovuto allo Stato, alla collettività, a tutti noi che le tasse le paghiamo puntualmente fino all’ultimo centesimo. Un’ingiustizia grande almeno 46  miliardi di euro.

È questo, infatti, l’ammontare che, secondo l’ultimo rapporto stilato da Mediobanca, le cosiddette WebSoft, ossia le mega compagnie digitali e hi-tech, come Google, Microsoft, Amazon e Facebook, hanno evitato di pagare ai Paesi nel mondo dal 2013 al primo trimestre 2018.

In totale si tratta di 21 gruppi con fatturato superiore a 3 triliardi di euro (pari almeno all’1% del fatturato aggregato mondiale). Di questi tredici hanno sede negli Stati Uniti, cinque in Cina, due in Giappone e uno in Germania e si occupano di internet retailing e service (social network, motori di ricerca, portali web) e disviluppo software. Ai quali, a parte, va aggiunta anche Apple che, nonostante non rientri nelle WebSoft ma nei big tech industriali, genera la maggior parte del fatturato nell’hardware, portando l’elusione a 69 miliardi di euro.

In ordine di fatturato si tratta di Amazon, Alphabet,Microsoft, Jd.com, Facebook, Oracle, Alibaba, Tencent, Sap, Paypal, Baidu, Booking, Automatic Data Processig, Netflix, Vipshop, Salesforce, Qurate Retail, Expedia, eBay, Nintendo e Rakuten.

Per aggirare legalmente il pagamento delle tasse, il trucco utilizzato da questi grandi “elusori” è piazzare le loro sedi nei cosiddetti paradisi fiscali, luoghi dove la pressione fiscale sui depositi bancari è bassissima o inesistente, creando al contempo un giro complesso di conti tra la capogruppo e le controllate stabilite in sedi diverse (Maxi elusione dei giganti di Internet: 69miliardi in 5 anni).

Accade così che molte WebSoft abbiano la propria sede in Irlanda,Olanda e Lussemburgo o, come le cinesi Alibaba e Tencent, direttamente nelle isole Cayman. E che si verifichino casi come quello di Facebook, che ha versato un tax rate per le attività extra Usa dell’1%!

Nel solo 2017, i due terzi dell’utile ante imposte delle “21 Sorelle” è stato tassato in Paesi a fiscalità agevolata. Tradotto in soldoni significa un risparmio in imposte di 12,1 miliardi di euro, grazie a un tax rate effettivo del 31%, contro il 41% previsto (Due terzi degli utili multinazionali WebSoft in Paesi a fiscalità agevolata)

Il fisco, però, sta iniziando ad agire un po’ ovunque. E mentre negli Stati Uniti, a seguito della riforma 2017, le WebSoft hanno dovuto sborsare 18 miliardi di imposte in più, in Italia, dopo accertamenti fiscali, pochi giorni fa Facebook ha chiuso un accordo con l’Agenzia delle Entrate per 100 milioni di euro. Prima del social, altre intese per oltre 700 milioni erano state raggiunte con Google, Amazon ed Apple (Agenzia delle Entrate: Facebook firma un accertamento da100 milioni).

È sufficiente? Decisamente no. È tempo ormai di fermare l’elusione dei big del web e hi-tech e di stabilire la correttezza di un mercato concorrenziale, in cui tutti sono sottoposti alle medesime regole e agli stessi tributi dovuti.
E poi chiediamoci: perché i manager delle WebSoft, vengono nominati con ruoli istituzionali o inseriti nel board member di importanti aziende?

Cosane pensate di un’eventuale web tax, che costringa le mega compagnie a pagare il dovuto nei Paesi in cui operano? La ritenete giusta oppure no? Tweettate i vostri commenti a @agostinellialdo

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Aldo Agostinelli