Aldo Agostinelli

Il termine greenwashing si riferisce a tutte quelle pratiche di marketing e comunicazione ingannevole volte a costruire un’immagine ambientalista che non corrisponde al vero

Per capire cos’è il greenwashing occorre fare un passo indietro. Uno dei temi più caldi degli ultimi anni è quello della sostenibilità ambientale. Un tentativo di risposta all’enorme problema del riscaldamento globale, collegato all’industrializzazione e all’utilizzo massiccio di combustibili fossili o ad altre attività produttive che rilasciano ingenti quantità di gas serra nell’atmosfera. La minaccia oggi  si è insinuata nella vita di tutti, attraverso fenomeni climatici estremi che viviamo sulla nostra pelle. Estati torride, siccità, ondate di calore insieme a nubifragi e fenomeni di instabilità idrogeologica. 

L’ opinione pubblica è sempre più cosciente dell’impossibilità di continuare a vivere secondo lo stesso paradigma di consumo, basato sul consumo, su prodotti alimentari non necessari, con ingente utilizzo di plastica e confezioni. Si sta facendo sempre più strada una bassa tolleranza agli sprechi e all’utilizzo sfrenato di risorse ambientali. La sensibilità delle persone sul tema negli ultimi anni si è particolarmente acuita. Anche grazie a personalità come Greta Thunberg e ai giovani attivisti del Fridays For Future. Sono soprattutto le nuove generazioni ad avere una sensibilità particolare al tema, reclamando un futuro possibile per il Pianeta. Ma anche le organizzazioni più importanti stanno recependo il messaggio e si stanno muovendo.

Il problema infatti è di fondamentale importanza, tanto che l’Onu, con Agenda 2030, indica (insieme a tanti altri obiettivi in altri ambiti, come sconfiggere la fame nel mondo) quali sono gli aspetti e le tempistiche su cui i governi dovranno agire. Fatta questa premessa, vediamo di cosa parliamo quando citiamo il concetto di greenwashing.

Che cosa si intende per Greenwashing?

La direttiva europea 2005/29/CE si era già occupata del tema. Ma è nel 2016 che viene stabilità la definizione del fenomeno del greenwashing, nel Documento di Orientamento del 25 maggio. Esso afferma che le espressioni “asserzione ambientale” e “dichiarazione ecologica” si riferiscono ad una pratica diffusa nell’ambito della pubblicità, della comunicazione o di marketing, volta a suggerire o a dare l’impressione che un prodotto o servizio possa avere un impatto positivo sull’ambiente. Oppure che sia meno dannoso rispetto ai prodotti dei concorrenti. Quando tali affermazioni non corrispondono alla realità dei fatti, oppure non possono essere verificate, si parla di greenwashing. Cioè di una “appropriazione indebita” di “virtù ambientaliste” volta a creare un’immagine green.

Accanto a reali cambiamenti di passo di molte aziende, che scelgono sempre di più energie provenienti da fonti rinnovabili o l’utilizzo di packaging compostabili, esiste un sottobosco di imprese che sfrutta la tendenza di una fetta sempre più corposa di consumatori che sposa i valori della sostenibilità scegliendo prodotti eco-friendly. Soprattutto dopo i due anni di pandemia, la tendenza a prediligere marchi sostenibili è sempre più diffusa.

Pratiche di greenwashing

Il termine greenwashing è un gioco di parole che si rifà al whitewashing, derivato dal mondo cinematografico degli inizi del secolo scorso. Allora si utilizzavano attori caucasici anche per interpretare personaggi di altre etnie, truccandoli per fare loro guadagnare le caratteristiche somatiche ma senza mai scegliere attori veramente appartenenti a quelle minoranze.

Con pratiche di greenwashing si intende un ambientalismo di facciata, sbandierato solo ed esclusivamente come plus di marketing. Senza che ai tanti decantati claim, che sono per così dire “affermazioni ambientali”, corrisponda un reale impegno dell’azienda nel miglioramento dei processi produttivi. Terra Choice ha stilato una lista di 7 peccati commessi dalle aziende che si dichiarano green senza davvero esserlo. Per esempio quello chiamato “il minore dei mali”. Ossia un’indicazione che può essere vera per un certo prodotto ma che rischia di distrarre chi acquista dagli effetti ambientali maggiori della categoria. Un esempio potrebbero essere le sigarette con tabacco biologico.  L’ambientalismo e l’impegno ecologista non possono essere considerati solamente alla stregua di una strategia di comunicazione. Anche perché la consapevolezza del greenwashing fa sì che ci siano svariati enti e associazioni impegnati nello smascherare queste pratiche, come vedremo più sotto.

Greenwashing e pubblicità ingannevole

Il confine tra greenwashing e pubblicità ingannevole è davvero sottile, anzi non esiste. In Italia qualsiasi messaggio pubblicitario eco-friendly che non corrisponde al vero viene considerato pubblicità ingannevole. Ed è controllato dall’ Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. L’istituto di Autodisciplina Pubblicitaria ha introdotto nel proprio codice la norma per la quale la comunicazione commerciale che dichiari o evochi benefici di carattere ambientale deve basarsi su dati veritieri e scientificamente verificabili. Inoltre, deve essere chiaro a quale aspetto del prodotto o attività si riferiscono questi benefici. 

Spesso si abusa di termini come “sostenibile” “ a impatto zero”, “naturale”, vaghi ma efficaci nel richiamare l’attenzione dei consumatori più attenti alle tematiche sopra citate. Uno degli aspetti più insidiosi del greenwashing è che spesso le aziende spendono più denaro nel creare un’immagine green di quanti ne spenderebbero se si attivassero veramente nel fare ciò che promettono. Finendo per avere un impatto ambientale negativo e un’immagine verde patinata. 

Esempi

Le grandi aziende che operano nel settore dei prodotti di consumo sono state spesso soggette a sanzioni per pubblicità ingannevole. San Benedetto con le bottiglie a minor contenuto di plastica e Eni, per un carburante che avrebbe permesso di ridurre i consumi e quindi le emissioni. Già in tempi non sospetti, nel 1996, la Snam venne condannata per il suo slogan “il metano è natura”.

Risale al 2016 il caso dell’ olio di palma. Sugli scaffali dei supermercati qualsiasi prodotto rassicurava il potenziale cliente dell’assenza dell’olio di palma tra i suoi ingredienti. L’olio di palma è l’olio vegetale più utilizzato al mondo e comporta una ingente deforestazione nelle zone tropicali in cui viene coltivato. Questo fa sì che grossi mammiferi, e non solo, perdano ettari e ettari di habitat che viene distrutto per fare spazio a enormi palmeti.  Il claim fu così tanto utilizzato che finì per diventare quasi una locuzione gergale. Ferrero e Barilla, due colossi del food, reagirono in modo diverso al problema. Il primo cominciò ad utilizzare olio di palma sostenibile (tacciato successivamente di non poter essere tale) per salvaguardare la ricetta della famosa Nutella. Barilla smise di utilizzarlo come ingrediente.

Un altro esempio, per molti versi più grave, e che facilmente tutti ricorderanno, è quello di Volkswagen, che falsificò i dati sulle emissioni delle proprie vetture. Ancora, il caso di H&M, il colosso del fast fashion, uno dei settori meno sostenibili esistenti, soprattutto per quanto riguarda il costo del lavoro e i diritti dei lavoratori. La Consumer Authority norvegese nel 2019 ha accusato il marchio di pubblicità ingannevole in occasione del lancio della collezione Conscious, presentata come sostenibile. Le informazioni sui prodotti erano vaghe e non specificavano la quantità di materiale riciclato per ciascun indumento.  

Enti e associazioni attive contro il greenwashing

L’ Earth Island Institute è una delle più importanti associazioni ambientaliste americane. La sua sede è a San Francisco ed è stata fondata nel 1982.  Si tratta di una realtà che si è battuta per decenni per stabilire standard di pesca che salvaguardassero i delfini negli Stati Uniti.  Oggi il suo campo d’azione si è allargato ed è molto attiva sul fronte del greenwashing. L’associazione promuove azioni legali contro le multinazionali, potete leggere alcuni dei casi aperti visitando il loro sito.

La Federal Trade Commission (FTC), sempre negli Stati uniti, è stato il primo ente a stilare, nel 2010, delle linee guida per l’utilizzo degli environmental marketing claims. Le parole d’ordine anche in questo caso sono chiarezza e trasparenza dei messaggi pubblicitari. Non solo nel contenuto ma anche nelle scelte stilistiche e di linguaggio promozionale.

In Italia la Consob, organo di controllo del mercato finanziario italiano, ha dichiarato nel suo piano strategico 2022-2024 un rafforzamento dell’azione di contrasto al greenwashing.

In Gran Bretagna l’Antitrust ha emanato nel 2021 il “Green Claims Code”, in Spagna già dal 2009 si sta lavorando a un “Còdigo de Autorregulaciòn sobre argumentos ambientales en comunicaciones comerciales”, in Francia si puniscono le aziende accusate di greenwashing con sanzioni pari fino all’80% del costo della campagna stessa.

La transizione ecologica

Il 26 Febbraio 2021 il Consiglio dei Ministri ha approvato il Decreto-legge Ministeri, a seguito del quale è nato il Ministero della Transizione Ecologica (il MITE) che sostituisce il vecchio Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare che eredita le competenze del vecchio e ne aggiunge di nuove come la transizione ecologica.

Con transizione ecologica si indicano tutte quelle politiche territoriali, ambientali ed energetiche che  porteranno l’Italia ad un virtuoso utilizzo di energie rinnovabili, facendola uscire dalla dipendenza energetica nei confronti di altri Paesi, tema molto caldo dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina nel febbraio del 2022. In questo contesto, è ancora più facile che le aziende cedano al richiamo del greenwashing. 

Aldo Agostinelli