Aldo Agostinelli

L’infezione da coronavirus si abbatte sul mondo e di colpo cambiano gli scenari economici cui eravamo più o meno abituati: i negozi abbassano le serrande, i ristoranti serrano i battenti, pub, bar, boutique e l’intero variegato settore del retail è costretto a una pausa forzata. Quello fisico almeno. Perché quello on line prosegue. Il digitale non soffre il virus, perché le malattie non si possono contrarre via web.

Accade allora che tutto deve essere riprogrammato, revisionato. Anche in termini di allocazione pubblicitaria.

Una pandemia non è evento frequente. Anzi, il covid2019 è stato definito “l’evento”, che arriva a sconvolgere le vite delle persone e le economie globali.

Come muoversi e fare previsioni in un simile scenario? Cercando di rifarsi all’esempio più simile che abbiamo, James McDonald di Warc ha preso come punto di riferimento quanto accaduto nel 2003 in Asia con la Sars e nel 2005 in Medio Oriente col Mers, entrambe gravi sindromi respiratorie acute (COVID-19: Three scenarios for the impact on media planning).

Lo scenario durante la Sars

Crollati i consumi del lusso, delle attività d’intrattenimento, delle visite ai ristoranti e di tutto ciò che si fa nei locali fuori casa fino al 55-56%.

La vendita si è spostata on line con crescite che hanno toccato punte del +63%. Un esempio tra i tanti è Lotte Mart in Corea del Sud: – 10% nei punti vendita fisici, + 27% nel suo e-commerce.

E ora durante il covid-19

Una tendenza simile sta avvenendo ora con la diffusione del Coronavirus: si tende a comprare beni di prima necessità – o comunque quei beni che l’urgenza della situazione ha reso indispensabili, tipo gli articoli sanitari – e, se possibile, di farlo digitalmente.
Ieri come oggi, i settori che pagano lo scotto più duro sono i viaggi, i ristoranti e il business dell’entertainment.

Il Coronavirus si diffonde tre volte più rapidamente dei suoi predecessori ed è molto più temibile. Ma sulla base delle indicazioni del passato è possibile cercare di tracciare tre ipotesi per aiutare le aziende ad elaborare la programmazione del budget pubblicitario.

PRIMA IPOTESI

La spesa pubblicitaria viene spostata ma la crescita annuale resta pressoché inalterata.

Il Global Marketing Index di Warc mostra che i budget sono stati ridotti e il calo in Asia ha colpito soprattutto i media tradizionali. Ma nella seconda metà dell’anno potrebbero aumentare i costi.

SECONDA IPOTESI

La spesa è riallocata in modo significativo perché i brand si concentrano sul breve termine.

Cinema, entertainment fuori casa e radio, patiscono il drastico calo delle attività d’intrattenimento.

Di contro, però, la quarantena cui siamo più o meno tutti tenuti, porta all’aumento del consumo di televisione. In Cina sono stati registrati aumenti del 50% della media giornaliera. Oltre al consumo di notizie e di video on line tra i giovani.

Altri significativi aumenti si registrano nell’uso dei servizi di messagistica e dei social.

Resta da vedere se i marchi non opteranno per spingere i prodotti legati al periodo pasquale, gli sconti e le promozioni per cercare di non ritardare le vendite di beni legati ad un particolare periodo.

In generale è ipotizzabile che se i volumi di e-commerce aumenteranno, gli investimenti saranno dirottati sulla pubblicità digitale per facilitare il percorso di acquisto tramite social.

TERZA IPOTESI

Le interruzioni prolungate delle vendite aumentano il rischio della recessione pubblicitaria.

Tra grandi eventi sportivi rimandati o annullati, entertainment bloccato e attività commerciali ferme, le economie perdono punti di PIL e c’è il rischio che anche la pubblicità segua a ruota.

E nonostante la spesa pubblicitaria su Internet sia cresciuta sei volte più velocemente dell’economia globale negli ultimi anni, anche le Big Tech come Google, Alphabet, Facebook e Amazon possono patire la situazione. Il 50% delle loro entrate Adv si basano sulle piccole e medie imprese. Ossia gli inserzionisti più vulnerabili in tempi di recessione economica.

Il Revenge Spending

In una situazione critica che evolve di giorno in giorno, nulla è certo e nessuno ha la verità in tasca. Però ci sono degli indizi e occorre tenerli presenti e provare a interpretarli. In Cina, per esempio, il peggio della crisi sembra essere passato e per reazione le persone, quelle abbienti, hanno voglia di spendere. E sono tornate a farlo dedicandosi al lusso. Lo chiamano “revenge spending” ma qualsiasi definizione vogliamo dargli, l’importante è che il Made in Italy non perda l’occasione (Nella Cina liberata dal coronavirus è revenge spending: “spesa della vendetta”)

Ecco perché la programmazione pubblicitaria dovrebbe essere in cima alla pianificazione ed essere anche uno degli elementi strategici di punta della ripresa commerciale che i brand dovranno intraprendere a tempo debito.

Quale ipotesi ritenete più plausibile? Avete notato cambiamenti nel mondo degli annunci pubblicitari? Ditemi la vostra twittando a @agostinellialdo.

Per scoprire di più sul mondo digitale, leggete il mio nuovo libro: “People Are Media” 

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Aldo Agostinelli