Aldo Agostinelli

I piani marketing omnicanale sono tecnicamente e strategicamente difficili da implementare e mantenere. Ma per il retailing sono ormai un passaggio obbligatorio. Pena la sua sopravvivenza. Basti pensare che, mediamente, oggi 1 acquisto su 5 viene effettuato online. Ma modelli funzionali sono già in essere. Vale dunque la pena indagare in che modo sono stati impostati questi modelli omnichannel retail, per capire e trarne spunto.

Lo studio The Next solution to ecommerce, condotto da Enders Analysis, prende in esame il caso di Next. Il rivenditore di abbigliamento inglese ha sbaragliato la concorrenza, basando la sua strategia ventennale su tre pilastri: raccolta dati, centralità del consumatore e forte rete logistica. I prodotti possono essere ordinati online, per telefono o acquistati in negozio e consegnati direttamente a casa o in store entro un’ora. I resi possono essere restituiti al negozio o fatti ritirare a casa da un corriere. Tutto il procedimento è omogeneo e ben sincronizzato tra i vari canali on e offline, rendendo la relazione col cliente fluida e non frammentata.

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Omnichannel retail: i negozi costano

L’obiezione più comune sul mantenere un piede nel virtuale ed uno nel reale, è che i negozi costano sempre di più e rendono sempre di meno. Gli spazi brick-and-mortar sostengono spese fisse (affitto, pulizia, elettricità ecc), mentre gli e-shop solo variabili (consegna, resi e marketing). In più i secondi continuano a erodere la clientela dei primi, con conseguente diminuzione delle vendite. Eppure la presenza su strada resta importante. I competitor on line puri patiscono tre fattori: nessuna visibilità nel mondo reale (meno marketing); nessun vantaggio dal reso in negozio (più costi spedizioni); assoggettamento alla volatilità dell’utenza.

Asos è un noto marketplace che vive solo in rete. Dal 2011 ad oggi ha aumentato le vendite. Ma soffre dei punti su esposti. Integrando i canali di vendita, al contrario Next è riuscito ad aumentare le vendite on line mentre aumentava quelle in-store. Con una crescita delle entrate lorde del 357% negli ultimi cinque anni.

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Omnichannel retail: il negozio è un hub

Mi ripeto: l’Omnichannel non è facile da realizzare. Non è neppure per tutti. I costi da sostenere sono diversi (e pesanti), in particolare quelli legati alla logistica. Ma i vantaggi di un tale sforzo economico restano importanti.

In primis l’aumento della fedeltà dei clienti, con una media del +23% di ripetizione dell’acquisto presso i punti vendita fisici, entro sei mesi (“A study of 46,000 shoppers shows that omnichannel retailing works”). A seguire una maggiore e più dettagliata raccolta dei dati on line e off line. Fattore che consente di delineare meglio le abitudini di acquisto ed elaborare anche un adv mirato. E poi c’è l’esperienza per il cliente: ancora oggi circa la metà delle persone cerca on line ma compra in negozio. Segno che il contatto umano è ancora importante (Web To Influence More Than Half Of European Retail Sales By 2020). Infine è da tenere in conto che il cliente omnichannel spende fino al 10% in più online e il 9% in più in negozio, rispetto a quello che ha utilizzato un solo canale.

Lo store fisico funziona come un hub diservizio, uno showroom che pubblicizza, ricorda, ispira e attrae il cliente. Non va in rosso, però, se fa parte di un piano più vasto e articolato d’integrazione delle vie di ricerca, acquisto e vendita del prodotto. La stessa Tesla consente di acquistare l’auto online e di ritirarla in concessionario. Altri consentono di provare/toccare/testare in negozio e ricevere a casa tramite account on line.

I big tech puntano all’Omnichannel

L’integrazione dei canali piace ai grandi del digitale. Che si avvantaggiano delle stesse imprese fisiche locali che hanno messo in crisi. Per esempio Amazon negli Stati Uniti ha rilevato le librerie che aveva spinto ad abbassare la saracinesca. E sta conducendo un’operazione simile anche per i generi alimentari. La sua espansione nell’omnicanale è ben visibile attraverso l’offerta Whole Foods, Amazon Bookstore e Amazon Go (Amazon eyes Sainsbury’s & Asda stores after merger).

Il suo alter ego asiatico Alibaba ha invece annunciato un investimento di 2,9 miliardi di dollari in Sun Art, il primo droghiere cinese, e uno di 9,3 miliardi in negozi. Completando il tutto con l’offerta di generi alimentari Hema (Alibaba goes offline with $2.9 billion stake in China’s top grocer)

Nel mentre, per non perdere terreno, Next guarda al miglioramento della user experience. E ha annunciato un aumento del 25% degli investimenti per l’online, destinato a sviluppare un’esperienza di acquisto digitale più personalizzata.
Il vero Omnichannel è un work in progress: può sempre essere migliorato.

Avete sperimentato un acquisto in un retailer omnichannel? Racconttemi cosa vi è piaciuto e cosa no, tweettando a @agostinellialdo

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Aldo Agostinelli