Aldo Agostinelli

Dimmi come e dove guidi – ma soprattutto cosa fai alla guida – e ti dirò chi sei: sembra un spot pubblicitario, invece, è la realtà dei big data applicati al settore automotive.

I grandi dati rappresentano una miniera d’oro d’informazioni sull’uso che le persone fanno della loro automobile. Non si tratta solo di quelle relative al veicolo in sé – dall’usura delle ruote, al consumo di km – ma anche delle abitudini del guidatore stesso, dal modo in cui utilizza il volante al tragitto più percorso, dalla musica che ascolta, ai posti in cui si ferma a fare rifornimento. Read it in English.

Si parla di auto connesse e non certo delle Fiat Ritmo del ‘90 o delle Audi A4 del 2000. Le auto moderne sono dotate di oltre 100 sensori, in grado di creare un flusso costante di dati. Una cifra che si aggira intorno ai 25 gigabyte di dati all’ora, secondo le ultime stime di McKinsey. Ossia un valore economico di non poco conto. Basti pensare a quanti sarebbero disposti a pagare per poterne disporre, dalle assicurazioni ai produttori di pezzi di ricambio, fino al marketing.

Conoscere le abitudini di guida degli utenti, insomma, apre la strada a nuove forme di profilazione dei consumatori, da utilizzare per lo sviluppo di nuovi prodotti e campagne mirate a seconda del proprio settore di riferimento. L’ultimo report “Connected Car: Vehicle Services”, redatto da Manufacturing.net, lo evidenzia chiaramente.

La crescita del mercato delle auto connesse è valutata fino al 74% annuo entro il 2021. Ma se il mercato dei servizi a questi veicoli nel 2016 ha raccolto circa 194 milioni di dollari totali, il valore dei big data generabili da questi mezzi è definito “quasi infinito”, cioè incalcolabile, e da sfruttare in vari modi. Si va dalle polizze personalizzate offerte dalle assicurazioni, alle officine di riparazione, ai distributori di benzina che, avendo la possibilità di sapere in anticipo se un’auto nelle vicinanze è entrata in riserva, potrebbero inviare un’offerta mirata di rifornimento, magari accompagnata da un buono sconto, un coupon o qualcosa di allettante che spinga il guidatore a fare sosta in quella determinata stazione.

Gli OEM possono incrementare le loro entrate in due modi: vendendo pacchetti di dati o chiedendo un tot percentuale sui guadagni delle terze parti.

E la privacy? Secondo un recente studio di KPMG (Global Automotive Executive Survey 2017) gli utenti sono molto più propensi a cedere i propri dati sul consumo e utilizzo dell’auto, di quanto non siano a fornire quelli personali. Ciò di fatto apre la strada ai produttori per stabilire un contatto più stretto e diretto con la propria clientela, a tutto profitto della fidelizzazione e della brand reputation.

Non si tratta solo dei costruttori di automobili ma anche di quanti lavorano nel comparto sicurezza, diagnostica e riparazione, di chi produce l’hardware che consente il collegamento in rete, come eCall Technology, o i sofisticati sistemi telematici integrati, di coloro che producono soluzioni innovative per portare in rete e aggiornare le auto non connesse e anche dei produttori di touchscreen, display e altre interfacce che utilizzano un dispositivo esterno, come un tablet, uno smartphone o un laptop, per la connessione a Internet. E questo solo per citarne alcuni.

La connettività applicata all’auto vede ancora una volta i big data protagonisti di un nuovo sviluppo.

Cosa ne pensate delle auto connesse e dei servizi collegati?  Mi piacerebbe avere i vostri commenti. Tweettate a @agostinellialdo.


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Aldo Agostinelli