Aldo Agostinelli

Edward Joseph Snowden ha scritto un libro. L’ex tecnico della Cia torna a far parlare di sé dalle pagine di Permanent record, nella versione italiana “Errore di sistema”.

La sua storia è più o meno nota a tutti. Per quanti ancora non la conoscessero la riassumo in poche righe: informatico, classe ’83, Snowden ha lavorato alcuni anni per la Cia e per una società a sua volta collaboratrice della NSA, l’Agenzia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Un lavoro delicato il suo, che l’ha portato ad entrare in contatto con alcuni dei programmi segreti per il controllo della masse, che il Governo USA, insieme a quello britannico, stavano conducendo. In una parola: privacy. Non quella da proteggere come diritto sancito dalle costituzioni di mezzo mondo ma quella violata per esercitare un monitoraggio illecito su privati cittadini e organismi pubblici.

Nel 2013 Snowden ha scoperchiato il vaso di Pandora e, con l’aiuto di un giornalista del Guardian, ha divulgato documenti secretati, rendendo noti i programmi di intercettazione tra America e Europa. Il resto è storia recente: la fuga, le richieste di asilo politico e la residenza in Russia. That’s all. Chi volesse approfondire non deve fare altro che digitare il suo nome su Google e iniziare a leggere la montagna di articoli di cronaca e i fiumi di opinioni redatte sull’argomento.

Adesso col nuovo libro Snowden torna a puntare i riflettori su di sé. Ancora una volta il termine su cui ruota l’intera questione è il termine “privacy”. Quella dei cittadini e quella abusata da quanti dovrebbero proteggerla e tutelarla. Secondo la concezione del nostro esperto informatico, la riservatezza dei dati e delle comunicazioni delle persone  è uno dei pilastri portanti della nozione di cittadinanza. È una free zone circoscritta intorno all’individuo, un’area che il potere dei governi non può valicare, è un confine tra il “posso” e il “non posso” dell’ingerenza statale.

Il concetto stesso di whistleblowing, che in Italiano potremmo semplicisticamente tradurre come “denuncia”, anche se nella sua versione originale contiene sfumature più dense di significato, è insito nella costituzione, è un principio di difesa a garanzia delle libertà civili.

Come ben spiegato anche dal ricercatore e giornalista Philip di Salvo, che negli anni ha avuto modo di intervistare due volte l’uomo del caso Nsa, in “Errore di sistema” emerge forte anche la doppia veste di Snowden, quella che vive l’internet come utente e quella dell’hacker. Nato in un’epoca in cui i dati personali carpiti in rete non rappresentavano il nuovo petrolio, e divenuto adulto in un cyberspazio in cui, al contrario, a seconda di chi la monopolizza, la privacy rappresenta un parco giochi (i governi) o una fonte di reddito (aziende, big tech ecc), Snowden parla di “capitalismo della sorveglianza”. Ossia la fine della visione di internet come regno della libertà individuale, soppiantata da un’idea del web come terreno quasi infinito per arraffare (Nascita di un whistleblower: quanto Snowden c’è nel libro di Snowden).

Da utopia a distopia e ritorno, Snowden invoca una rete diversa, sicuramente più simile a quella degli inizi e, per certi versi, a quella delle illusioni poi infrante. La privacy è importante. È importante tutelarla perché riguarda chi siamo noi. Soprattutto è importante tornare a rafforzare la sbarra che impedisce a governi e aziende di andare in gita quando vogliono nella nostra sfera privata. Esagerato? Pensate allo scandalo Cambridge Analytica e a tutti quelli che sono seguiti e poi rispondete.

Resta il fatto che, comunque la si pensi, “Errore di sistema” pone questioni fondamentali sui cui vale la pena riflettere.
 

Che idea avete sulla privacy? Assoluta o relativa? Ritenete ci siano occasioni nelle quali sia  giustificabile l’irruzione dei governi nella sfera privata dei cittadini? Tweettate i vostri commenti a @agostinellialdo.

Per scoprire di più sul mondo digitale, leggete il mio nuovo libro: “People Are Media” 

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Aldo Agostinelli