Aldo Agostinelli

La trasformazione digitale pone le aziende su un circuito da gara: chi arriva prima, chi innova al meglio, passa in pole position e le altre dietro non possono che cercare di raggiungere, affiancare e, se possibile, doppiare la concorrenza. Ma come? L’ultimo studio di Prophet fornisce alcuni suggerimenti utili ai brand alle prese con il cambiamento. Il report “Catalysts: The Cultural Levers of Growth in the Digital Age” insiste in particolare su un punto: la digital transformation deve essere guidata in primis da una trasformazione culturale. Non solo all’interno, quindi intraziendale, ma anche vero l’esterno, ossia con i clienti. Solo così il rinnovamento si rivelerà efficace e il processo per ottenerlo seguirà una teoria ed una pratica coerenti e logiche, anche in presenza di cambi di piani strategici. L’obiettivo, il traguardo, è lo stesso per tutti: la crescita.

Il tal senso il primo step suggerito da Prophet consiste nell’elaborare dei principi di base che forniscano una guida per rendere la trasformazione più agile ed efficace. Tenendo conto che i tempi medi per il compimento del processo si attestano su due o tre anni.

La strategia del talento

Se il primo passo da compiere per avere successo è tenere la barra dritta, quello da evitare è pensare o, peggio, convincersi che basti sostituire la maggior parte della forza lavoro e voilà, come per magia, la trasformazione avverrà rapidamente. Al contrario occorre mettere sul piatto quella che più esperti definiscono “la strategia del talento” o anche “empowerment”.
Al posto di sostituzione, libertà. Ossia maggiore possibilità di manovra per i dipendenti, in modo che possano sperimentare e trovare nuovi metodi di lavoro, seguendo una medesima parola chiave, collaborazione. Non solo tra dipendenti dello stesso livello ma anche tra differenti unità dell’azienda e tra vertici e dipendenti.  (5 things business leaders can do right now to speed digital transformation).

Un ulteriore suggerimento riguarda la scelta delle idee migliori. Non necessariamente gli anni di anzianità di un dipendente sono un criterio valido per selezionare quelle vincenti. In realtà, con la user experience che incalza e la velocità con cui evolve il mercato, sempre più spesso andrebbero ascoltati i dipendenti che lavorano a contatto col pubblico, quelli che sono in prima linea nel recepirne le necessità e raccoglierne le lamentele. Loro, meglio di molti altri, sanno cosa serve e cosa no e per questo andrebbero integrati appieno nel processo di trasformazione.

Una priorità: riqualificazione

Secondo il Global Talent Trends 2019 redatto da Mercer, il 75% dei dipendenti  lavoreranno oltre i 65 anni. Le aziende si trovano dunque con due tipi di dipendenti: i giovani, con magari poca esperienza, e gli over, con esperienza ma poche o nulle skill tecnologiche. Armonizzare il tutto è fondamentale, come lo è utilizzare al meglio i talenti a disposizione. Un’azione che si può fare solo con la formazione e la riqualificazione del lavoratore. In due parole: upskilling e reskilling. Un’esigenza sempre più sentita dai business leader. Al punto da spingerli ad elevare la riqualificazione del personale al terzo o addirittura al primo posto della lista delle priorità, a seconda del settore in cui operano. In particolar modo l’urgenza si fa sentire per i lavoratori più anziani, quelli più a rischio automazione in quanto protagonisti di lavori che, almeno nel 50% dei casi, potranno essere sostituiti da robot, computer e intelligenza artificiale.
E ancora una volta l’accento cade sulla libertà che deve essere data al lavoratore nel contribuire alla trasformazione. Insomma sulla necessità di renderlo un soggetto attivo che non subisca passivamente la transizione ma dia il suo apporto per renderla efficace. Il che, detto chiaramente, è anche uno stimolo alla motivazione. E la motivazione nel lavoro, in qualsiasi lavoro, è fondamentale.

In sintesi qualsiasi crescita aziendale non può prescindere dai dipendenti. Non esiste un sistema che possa essere dato dall’alto senza tenere conto del capitale umano. Capitale umano che deve essere stimolato a crescere e messo in grado di collaborare a tutti i livelli. I casi di successo lo dimostrano: dove i lavoratori hanno cooperato tutti insieme e contribuito attivamente per il miglioramento, l’azienda è progredita.

A vostro giudizio, per una corretta digital transformation aziendale, come andrebbe valorizzato il capitale umano e cosa andrebbe cambiato/innovato? Tweettate i vostri commenti a @agostinellialdo.

Per scoprire di più sul mondo digitale, leggete il mio nuovo libro: “People Are Media” 

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Aldo Agostinelli